Sembra solo ieri, eppure sono passati 15 giorni dall'ultimo messaggio lasciato qui.
Di cose ne sono accadute parecchie, tutte così in fretta che ho tardato a scriverle, finendo per dimenticarle o perdere l'attimo fuggente per fissarle in fiumi di parole che si inseguono.
Partirei dal Motorshow dove, insieme ad una nutrita task force, abbiamo girato circa 6 ore di filmati dedicati a macchine e standiste, durante il giorno 5 dedicato ai giornalisti.
La sera stessa sono tornato a Roma con le varie cassette, pronto per la levataccia del giorno dopo alle 5 e 30, visto che il turno di montaggio l'ho iniziato alle 6 e 30 di mattina.
Quello stesso giorno ho completato i circa 80 minuti di montato, chiudendo la sessione di montaggio alle 2 e 30 del giorno successivo, dopo venti ore di montaggio ininterrotto. La mattina dopo il DVD è partito per la stampa, pronto per essere successivamente distribuito con la rivista.
Questo per dire che, dopotutto, non ho avuto praticamente tempo di pensare a quello che mi sta per piombare sulla testa.
Non contento, l'8 dicembre alle 15 e 30 sono partito per Milano, concedendomi un weekend di svago e "lavoro leggero" dedicati sempre alla mia rivista e a rivedere vecchi amici.
Sono tornato giusto lunedì mattina, trovandomi a dover correre in redazione per chiudere alcuni articoli, organizzare una sorta di cena o quasi-festa per amici intimi e parenti il giorno del 15, comprare camicia e cravatta da indossare e infine organizzare la festa ufficiale, che si terrà tra il 20 e il 22.
Insomma, correndo in giro mi sono praticamente scordato che domani pomeriggio, verso le 15, dovrò discutere la mia tesi e prendere la mia laurea in scienze della comunicazione.
Ma questo non vuole essere il solito diario dei racconti noiosi, quello di cui voglio parlare è come effettivamente una laurea sia considerata il classico "rintocco" dell'ennesimo sessantesimo minuto nel nostro orologio di vita.
Si comincia da piccolissimi, con uno schiaffetto a testa ingiù sul culetto, due vagiti e già si fanno i preparativi per il battesimo. Poi si comincia a camminare, a parlare, ad andare all'asilo e infine a scuola.
Il primo rintocco diciamo che avviene il primo giorno di scuola, quando orde di bambini e mamme in lacrime si separano come se fosse per sempre, strattonati dalla tiranna campanella intenta a ricordare che è ora di entrare a scuola.
Il secondo rintocco sono gli esami di quinta elementare, con la tesina e i maestri che tutti contenti ci scaricano alla scuola media.
L'ingresso alla scuola media è già qualcosa di più autonomo e facilmente ricordabile, io personalmente ho cercato di seguire alcuni amici delle elementari, cercando di proseguire la saga dei casinari in classe. Alle medie dopotutto si studia e non c'è mamma a farci i compiti, quindi i rintocchi arrivano in corrispondenza dei primi votacci o le prime note. Ne ho raccolti in quantità industriali.
Ecco devo dire che un momento importante, al dila' degli esami alle medie (fatti in un angusto corridoio, sorvegliato da professori e presidi) è la scelta di quello che si fa dopo.
Il primo giorno di liceo è l'ennesimo rintocco sul grande orologio della vita, sia perché è una scelta importante, un bivio che una volta scelto non permette di tornare indietro. E questa scelta, a poco più di tredici anni, spesso viene fatta senza una reale cognizione delle proprie capacità. Basti pensare a quanti ingegneri hanno fatto il classico, e quanti letterati hanno fatto lo scientifico.
Un altro rintocco proviene questa volta dalla prima ragazza importante, quella che porti a casa e che nascondi sotto le coperte quando mamma ti sorprende a casa con lei. E che magari la sera dopo siede imbarazzata alla tavola della tua famiglia. La prima vera fidanzata.
Poi arriva la maturità. La cosa strana è che più vado avanti, più si accorciano i ricordi, come se i momenti che dividono queste tappe fossero sempre di meno, quando in realtà i cinque anni del liceo sono molto più lunghi dei tre anni (nel mio caso quattro!) di scuole medie.
Alla maturità si becca il primo voto importante, che determina l'accesso alle università più prestigiose e stila una graduatoria su chi è più bravo o, generalizzando, su chi ha il cervello più fino.
Pochi attimi e ci si trova proiettati con il quadernino sottobraccio all'università, affascinati da lunghi corridoi e infiniti fiumi di gente più grande di te. Una sensazione vecchia di almeno 5 anni (quando si comincia il liceo) ma vissuta con gli occhi di un quasi adulto o quantomeno maggiorenne. La tanto agognata indipendenza all'università molto facilmente si ritorce contro, abbassando i voti e la stima dei gentori verso la tua nuova impresa studentesca.
In quanti hanno sbattuto il muso sull'università? Tanti, me compreso.
Al punto che pochi mesi dopo avevo già deciso di smettere ma, per non deludere i miei familiari, mi sono trascinato per un anno e mezzo.
Il vero rintocco è arrivato con la mia prima vera storia importante, quando arrivato Settembre (un anno dopo la mia immatricolazione) mi sono trovato a stare benissimo con una ragazza. E mi sono detto "sticazzi degli esami, quando ne trovo un'altra così?".
Fatto sta che a gennaio di quell'anno ho cominciato il servizio di leva, facendo l'obiettore di coscenza per un ministero. Esperienza molto costruttiva sul piano personale, ma devastante dal punto di vista sociale. Ho perso la mia ragazza, ho perso tanti amici. E ho perso anche un po' la voglia di divertirmi e di cazzeggiare in compagnia. Questo rintocco lo ricordo un po' sinistro, stonato. Una nota di transizione tra il mondo adolescente e quello adulto.
Guardandomi indietro ho quindi fatto una scommessa: prendere una laurea triennale lavorando. E ho fatto un colloquio a botta secca alla Lumsa.
Avevo una faraonica (vabbè non esageriamo, ma quasi) offerta dalla rivista per cui lavoravo, che comprendeva una bella casetta in provincia di Cosenza, un posto fisso in redazione e uno stipendio più che decoroso per un disoccupato diplomato che aveva fallito all'università. Il colloquio universitario è andato bene, ho salutato la redazione, e ho cominciato la più grande e bella avventura della mia (breve e noiosa) vita.
Un'avventura che è nata per scommessa, perché sapevo che potevo fregare il sistema che mi aveva fregato. Sapevo che la laurea era alla mia portata, sarebbe bastato rinunciare a qualche soldo e qualche notte brava.
Beh eccomi qui, il rintocco questa volta non suona solo nelle mie orecchie.
Accompagna un po' tutti qui a casa. Occhi luccicanti d'orgoglio accompagneranno il mio movimento verso il piccolo leggìo dove, in pochi brucianti attimi, si consumeranno tre anni di studi e di rinunce. Che ho pagato nelle notti insonni passate a scrivere articoli o domandarmi se avevo fatto bene.
Notti passate a valutare successive e più allettanti proposte di lavoro, tutte rifiutate in nome della mia scommessa.
Questa laurea, che renderà orgogliosi amici e parenti, la sento mia.
Anche se non mi rendo ancora conto che quello di oggi è stato l'ultimo tramonto da diplomato, e domani sarà l'alba di un giorno dedicato al cambiamento. Tutto con una chiacchierata e tre anni di sacrifici che rifarei perché, dopotutto, non hanno mai pesato veramente.
I rintocchi non finiranno, e giusto ieri parlando con una mia amica è uscito il discorso "hey, manco mi sono laureata che già qua stanno pensando al matrimonio!!".
Già il matrimonio.
Praticamente una volta laureato già è pronto un altro giro di lancette, uno che porta al primo importante contratto di lavoro, un altro che porta al primo contratto d'affitto.
Poi c'è il bacio all'altare, qualche manciata di riso.
E uno schiaffetto sul culetto, questa volta dei figli.
E si ricomincia, questa volta dall'altra parte della barricata. A decidere se sarà scientifico o letterato, a penare se non riesce a fare gli esami e se tarda la notte quando esce tra amici.
Una storia infinita, una grande corsa scandita dal tempo e dai rintocchi che un grande orologio interno fa ad ogni giro di lancette.
Perché ho voluto levare questi 60 minuti al mio ultimo sonno da diplomato? La risposta proviene dai ricordi di ogn'uno di noi: quante volte l'attesa di un appuntamento, di un bacio, di una telefonata ha avuto un valore emozionale più alto della telefonata o dell'appuntamento stesso?
Sto vivendo l'apice dell'attesa, sono in cima a questa rampa di scale e, arrancando, è bello guardare un attimo indietro per godersi il panorama e scoprire ancora una volta quando passo dopo passo dietro di sè ci sia qualcosa di grande, di importante.
È tempo di dormire, adagiandosi su questo morbido ammezzato, pronti a riprendere la marcia su questa lunghissima scalinata.
Sempre più in alto, sempre più veloci.