Are you gonna be the one who saves me?
13 ottobre, 2006
...notti inquiete
Quant'è strana la vita.
O meglio, quanto sono strani i momenti che si susseguono nell'intense giornate quotidiane.
Qualche tempo fa mi lamentavo della routine, di come ammazzasse il senso del tempo. Che ti fa svegliare una mattina con qualche acciacco in più, e hai perso il conto dei lustri già da un po'.
Alla fine credo di aver scoperto che gli "attimi" trovano posto nei nostri ricordi quando c'è qualcosa che li rende tali. E giusto ieri mio cugino bolognese si è laureato in medicina, 110 e lode. Triste tradizione familiare di cervelli pregiati, che hanno messo la firma sotto grandi cose, accompagnate dalla sociopatia che -molto probabilmente- è congenita.
Uno scossone che con un colpo di spugna ha ripulito la quotidianità, e ha fissato un altro momento in questo 2006 che sta raccogliendo sempre più pietre miliari nella mia (e altrui) vita.
E ti ritrovi a notte fonda, a riflettere su questi momenti. Se quell'autoanestesia che cerchi di trovare per sopravvivere non cancelli, o faccia vivere questi momenti come inebetiti, passivi alla vita e dimetichi che le redini sono nelle nostre mani.
Una sensazione che rincontrare vecchie infatuazioni, che avevi archiviato con troppa fretta, ti siano scivolate tra le mani tra una corsa e l'altra, badando talmente tanto alla forma (del luogo, del tempo, del vestito, del pasto misto) da farti perdere la sostanza di uno sguardo, una parola, una frase che ti accarezza un volto raggelato e insensibile. E che cade nel vuoto.
Notti in cui inquietamente ti chiedi per quanto ancora puoi procedere senza guardare, privo di una guida o una stella polare, con il tempo in tempesta che ti sbatte contro impedendo di guardare oltre i tuoi piedi.
È così difficile trovare il coraggio di alzare gli occhi, affrontare a viso aperto le avversità della vita sapendo che sarà un bagno di sangue. Che forse certe ferite non si chiuderanno mai. E che forse nel momento del bisogno le persone di cui ti fidi si tireranno indietro, lasciandoti in ginocchio, sospeso tra una sconfitta e una mezza speranza di rialzarti con le tue forze.
E le notti, un po' alcoliche, un po' sole, ti fanno temere di avere in mano soltanto massicce dosi di amarezza che, incapaci di trasformarle in odio, ti porti dentro per interminabili giorni. E riesci a dimenticarle solo quando hai talmente tanto da fare, che fai fatica a riconoscerti nello specchio. Un volto lì, gli cresce la barba, anche i capelli. A volte li tagli, li levi. Ma non sai perché... forse solo perché ti hanno insegnato a fare così, pura abitudine.

Dopo un po' i muscoli del collo mollano la presa. Le mascelle anche. Gli occhi cominciano a stare chiusi da soli e finalmente sopraggiunge il sonno, giusto meritato e atteso intervallo, sapendo che riaprendoli l'unica speranza di tirare avanti sarà pensare al domani, quando la tempesta passerà.
Peccato che non passerà mai, e un cervello pregiato non basterà a capire dove andare.
 
posted by Stefano at 02:53 | Permalink |


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