Ebbene sì, sono tornato. Con il faccione alla Jack Torrance mi riaffaccio su queste lande desolate a raccogliere noia di chi mi legge, per raccontare un altro week-end in cantina, la mitica cantina dei cugini bolognesi.
Luogo di felice perdizione, dove le sbronze si sono susseguite negli anni passati in altrettante feste distruttive e assolutamente indimenticabili.
Loro, così figli dei fiori da creare imbarazzo, hanno avuto il coraggio di proseguire questa lunga tradizione (iniziata dai miei zii), suonando dal vivo scassatissime cover dei Beatles e raccontandoci di "Strawberry Fields", "Yesterday" e dell'indimenticabile "Norwegian Wood". A loro devo un'amore viscerale verso questa musica un po' matusa, così sognatrice e lontana dal mercato, il commercio, il jet-set. Anche se loro, i Beatles, sono stati risucchiati proprio dal jet-set, ma se facevano dischi era prima di tutto per loro stessi, non per pressioni di produttori a caccia di soldi da far spendere a meno impegnate mogli ed amanti.
Voglio dire che "ormai" il tempo delle fancazziste feste di mercoledì sono finiti da un pezzo, e tante vecchie conoscenze -e mi si ricordano tutti!- ormai sono mezze accasate, laureate, impegnate vorticosamente a timbrare il cartellino ogni santo giorno. Spendendo parole nostalgiche e occhi lucidi per quando ci si ubriacava senza pensare ad altro che al bicchiere pieno, molestando ragazze felici di essere molestate e sotto mischioni di hashish e vari tipi di alcolici si suonava, si cantava, si parlava dell'esistenza e di tutto, tranne i problemi della vita.
Un po' perché non c'erano, un po' perché non ci interessava.
Mi ricordo come fosse ieri una sera di Dicembre, in cui ero finito lì non so con quale scusa, probabilmente per fuggire da una delle mie ex, e faceva un freddo dell'anima.
Uscimmo di casa a caccia di pub che già scendeva qualche fiocco di neve, ma eravamo così impegnati a fare casino che non ce ne accorgemmo.
Qualche ora dopo, ancora più ebbri di alcol e di vita, tutto aveva cambiato colore, i lampioni erano più gialli, le macchine e le strade bianchissime. E qualche metro più in là, dietro Piazza Maggiore, dai dormitori Erasmus erano scesi decine di studenti, intenti a tirarsi palle di neve. E anche noi ci unimmo, scemi e ubriachi quasi da sentirci male. Ricordo di aver riso talmente tanto che mi faceva male la mascella, subito davanti alle orecchie. E la neve che si era infilata fin nelle mutande.
Ricorderò per sempre anche quella volta in cui la band degli Ashley al completo era impegnata a suonare uno dei concerti più belli mai fatti, rigorosamente cover vecchie di almeno trent'anni, e io impegnatissimo a "limonarmi" (come dicono loro) la donna del bassista davanti ai suoi occhi. Lui impassibile continuò a suonare, finì il concerto, la prese a schiaffi davanti a tutti e se ne andò. L'unica cosa che mi ha salvato da morte certa è che me l'hanno spiegato soltanto dopo. E loro che ancora ce lo prendono per il culo.
Lui che invece aveva capito tutto, perché le donne cambiano, l'arte e l'intensità di quel momento musicale invece no. E senza il suo basso il concerto si sarebbe fermato, avremmo smesso tutti di baciarci e l'incantesimo si sarebbe rotto. Un vero figlio dei fiori.
Spero enormemente che questa non sarà l'ultima festa in cantina, ma purtroppo credo che ci sarà posto solo per qualche rimpatriata, in cui finiremo come queste righe, a raccontarci e ricordare le malefatte compiute in quell'angusta cripta addobbata a festa, grande quanto un piccolo locale, tappezzata di locandine vecchie almeno vent'anni e intrise di un amore stupido per la vita, così disperato e vero da far dimenticare ogni singolo problema esistenziale.
E ancora una volta, la Domenica all'ora di pranzo, mi sono svegliato con la testa che girava, mi sono rattoppato alla meglio con una doccia e, arruffatissimo, mi sono seduto a tavola con tutto il resto del parentame, proponendo a fatica aneddoti della vita romana, dei miei parenti, del mio futuro futuribile.
Poi il sole -non so perché c'è sempre stato, non ricordo una giornata post-festa senza di lui- che da fuori ti chiama per una passeggiata ai Giardini Margherita, semplicemente per sdraiarti al sole, e chiudendo gli occhi continuare a viaggiare con la testa. Che gira vorticosamente cercando di ricordare quanto accaduto la sera prima. E lì ci trovavi tutti gli altri, in meditazione silenziosa a smaltire la sbornia o a raccontare com'era finita poi con "quella".
Poi di nuovo in macchina, per l'ennesimo rientro di malavoglia.
E ancora ricordi che ti frullano nella testa, che mi hanno fatto capire quanto sono intriso di questa Bologna un po' bohème, che non smetterò mai d'amare.
Come le "lei" che vi ho incontrato e che non dimenticherò mai.