Are you gonna be the one who saves me?
30 giugno, 2006
...So I looked in your direction
Settimane passate al caldo e al casino, queste che si stanno concludendo. O meglio l'ultima in particolare è così piena di eventi e ricordi che se non mi sbrigo a fissarli qui rischio di sprecarli per sempre..
Parto con la settimana scorsa, ho preso un sano trenta all'esame di tecnica pubblicitaria. Ma allo scritto ho preso solo 24, e siccome il voto "va da solo" come primo modulo, mi rivedrò con la prof per alzarlo un po' (spero un bel po').
Il giorno dopo invece mi sono trovato a ripassare spagnolo con Lady Sunrise, la stessa di cui ho già parlato. La stessa che ha quei suoi modi di fare così strani e romantici.
Boh, non saprei che dire, forse è il caldo, forse l'estate o forse sono io... ma mi piace.
Peccato che come dicevamo ha un altro.

Martedì ci rivediamo, dobbiamo preparare insieme un esame sulla gestione della marca, uno degli ultimissimi. Forse l'ultimo che preparerò con lei, e in tal caso so già che il cellulare smetterà di mostrare il suo nome, ricevere suoi messaggi.
Smetterò insomma di frequentarla, perché le lezioni ormai sono finite, e io per metà luglio conto di concludere definitivamente il mio impegno con gli esami, e dedicarmi alla tesi.
Che situazione del cazzo: tra tutte le ragazze di questo mondo, ho trovato una forma di multicolore affinità con l'unica che ha l'uomo da anni, che sta per andare a conviverci e che molto probabilmente si sposerà in breve tempo.
La parte più grave è questo costante presentimento che anche lei la pensa come me: proprio l'altro ieri ci siamo incontrati, e ho sentito quella sensazione strana, una sorta di "brivido". E lei pure, non faceva che toccarsi i capelli, specchiarsi in giro, parlare a raffica.
Non so che fare insomma, e la situazione è imbarazzante: non ho minimamente cercato di sedurla, di farmi avanti, di farle capire il mio interesse. Anche se stupida non è, e l'ha capito.

Martedì avrò l'ultima occasione, ma so già come andrà a finire. Sarà un deja vu dei tempi andati, quando la love story del secolo era ai cancelli di partenza, tutto pronto. E mancavo io.
Perché forse è più facile nascondersi nell'ombra e cantare sottovoce "I'll always be waiting for you" che giocarsi il tutto e per tutto, temendo che le possibilità di successo siano livellate a zero.

So I looked in your direction,
But you paid me no attention, do you..?

P.S.
ci sarebbe da dire che spagnolo mel'hanno spostato al 10 luglio, che a Ngi.lan06 ho fatto grandi cose, e che la rivista per cui lavoravo due anni fa (Win Magazine) mi ha arruolato, risollevandomi dalla mia disoccupazione e riaccogliendomi come un figliol prodigo ma... who fuckin' cares?
 
posted by Stefano at 01:16 | Permalink | 0 comments
18 giugno, 2006
...when I'm sixty-four...
Salutone a tutti, qui da RadioBritcop, l'unica radio dove una gnocca come Wonderwall presenzia senza spiccicare una parola!
Lei è la donna ideale, non parla mai, ma non dirò quando apre la bocca e perché!
Oggi, miei cari ascoltatori, si festeggia un compleanno che però è anche un evento!
Proprio il 18 giugno 1942 James Paul McCartney vedeva i natali nella città di Liverpool, luogo di nascita della -aggettivo non pervenuto- band dei Beatles.
Forse non tutti sanno che occupa stabilmente un posto nel Guinness dei Primati, come l'autore che ha ricevuto più dischi d'oro nella storia del rock.
Sicuramente più persone sapranno invece che nel 1966 (presso gli studi EMI di Abbey Road a Londra) ha registrato uno dei dischi più belli della storia, il Sgt. Pepper's Lonely Hearts Club Band.
Che oltre a condividere con me un curioso caso di omonimia e analogia (solo nel titolo per carità), contiene al suo interno un pezzo di cui compose la melodia all'età di quindici anni. Successivamente l'ha completato con John Lennon, "ufficialmente" dedicandolo a suo padre e alla musica degli anni trenta... ma secondo me e Wonderwall la dedica alla mamma, scomparsa proprio quando aveva quindici anni.
Stiamo parlando di "When I'm Sixty-Four", canzone numero nove del disco, un pezzo che improvvisamente diventa "presente".
Un po' come il 1984 di Orwell, il 1997 di Jena Pleskeen e il 2001 di Kubrik, anche il 2006 di Paul da oggi diventa "ufficialmente" qualcosa che appartiene ad una storia immaginaria... anziché qualcosa che dopotutto può ancora accadere.
Paul, anziché fantasticare su "come saremo", quando ha composto il testo con John si è chiesto semplicemente se "saremo ancora così". La risposta è sì, caro Paul, e anche se non ti chiudono più fuori casa quando torni alle tre meno un quarto, il nostro mondo è molto più simile al tuo 2006 nel 1966 che al 1984, il 1997 o il 2001 di Kubrick...

Diciamocelo, questa parentesi radiofonica non è proprio la trovata dell'anno. Senza contare che Wonderwall mi avrebbe tirato un calcio sullo stinco già al secondo capoverso, lasciandomi sul pavimento rantolante.
Nel frattempo le note di "A Day in The Life" (stesso disco) mi fanno tornare alla mente qualcosa che non riguarda i miei futuri sessantaquattro anni.
Parlo di un'altra settimana di delirio che mi aspetta proprio qui dietro l'angolo.
Quella di oggi è la "notte prima degli esami", domani mi aspetta uno degli esami più importanti del semestre (tecnica pubblicitaria), di quelli che vanno inseriti nel curriculum insieme al voto preso.
Dormirò come un bambino, anche perché dopo il 27 allo scritto di spagnolo ormai è questione di tempo, ma gli esami si esauriranno e il mio libretto cesserà di raccogliere le firme di prof e assistenti vari.
Ma è solo l'inizio: giovedì mi aspetta proprio l'orale di spagnolo, da fare con il trolley in macchina perché appena completato dovrò mettermi in viaggio per Monza, dove mi aspetta Ngi.lan06, e dove mi hanno precettato coordinatore di un paio di tornei.
Torno nuovamente nel dolceamaro nord, rispolverando un po' delle mie capacità di "relazioni pubbliche": magari qualcuno si accorge di me e trovo magicamente un modo di pagarmi queste ferie estive (leggi Formentera), visto che ormai faccio praticamente la fame.

Menomale che ci sono loro, i Beatles.
Will you still feed me, when I'm sixty-four?
 
posted by Stefano at 23:49 | Permalink | 3 comments
12 giugno, 2006
dieci giugno duemilasei
Una delle cose che mi riesce meglio è "tirarmi fuori" dalle situazioni che voglio analizzare, è qualcosa che mi porto dietro fin da quando ero piccolo.
Questa volta sono in difficoltà, ma il motivo è molto positivo.
Comincio con il "where": Sciamano Club, vicino al Talete, nel cuore della Roma che ci ha cresciuto, a due passi dal "mitico" Talete e altrettanti dalla mia università. Un palco stretto ma spazioso, un ambiente basso, accogliente e per certi versi labirintico, un proprietario pittoresco e alla mano. Un pubblico memorabile.
Passiamo al "what": il concerto del mio cantautore preferito, Simone. Questa volta la "configurazione elettrica" è stata completa, con Marco alla chitarra elettrica che manovrando una pedaliera senza fine ha dato spessori finora sconosciuti al repertorio del Duo. Davvero degno di nota.
Poi c'è il sottoscritto. Per la prima volta "live" ho messo mano al mixer, e ho regolato i delicati livelli di voci e strumenti della band. Un compito delicatissimo, che con il mio "solito piglio professionale" (sconosciuto agli amici) ho affrontato con la massima serietà. Al punto da ricevere critiche positive ma sconcertate sul comportamento tenuto.
Mi dispiace ragazzi, vi voglio bene, ma quando mi rendo responsabile del sound che ascolteranno un centinaio di persone non accetto compromessi.
Al punto che il soundcheck è durato un'ora e un quarto, e li ho lasciati che stavano stramazzando dalla fame.

Ora parliamo dell'evento. Il concerto.
Qualcosa di memorabile, che però ho visto con occhi coinvolti, troppo "da dentro", troppo "secondo i miei gusti", per dare un giudizio obiettivo.
Quindi mi limiterò a dire che il concerto -da quello che ho raccolto in un secondo tempo- è piaciuto a tutti, e che l'esibizione ha fissato un nuovo livello di qualità e piacevolezza d'ascolto.
Ma non ne avevo dubbi, il gruppo è in violenta e costante crescita, e in passato praticamente nessuno dei presenti ha poi deciso di fare altro al successivo concerto.
Simone ha tenuto molto bene il palco (anche se seduto in versione salotto del Duo è più umano), il gruppo ha sorpreso tutti.
Marco era alla sua prima esibizione con chitarra elettrica, ma dubito che qualcuno abbia rimpianto i suoi "precedenti acustici" con il Duo di Picche.
Alessio e Adriano (batterista e bassista) alla loro seconda esibizione sul palco hanno dato prova della loro abilità ed esperienza, dall'alto dei circa diciassette anni che ciascuno porta sulle spalle. E dell'unico concerto precedentemente tenuto, quindi alla seconda esibizione live. Dei fenomeni, occorre dirlo.
Una parola va infine al pubblico, un fiume in piena. Un abbraccio costante e incitante, applausi sui ritornelli, cori, battiti di mani. Un microcosmo uguale a quelli che si vedono in tv, con band blasonatissime che mandano in visibilio migliaia di fan. Non eravamo migliaia, ma abbastanza da riempire fino a far scoppiare il locale, e abbastanza per far capire a Simone che qualcosa sta cambiando.
La "reason why" di questo blog? ho voluto fissare nel tempo una delle serate più belle a cui ho visto Simone suonare. Un punto di svolta, un'altra pietra miliare in questo incredibile viaggio che -in poco più di un anno- ha quasi trasformato "uno di noi" in "uno di loro". Di quelli che vedi in tv e che firmano autografi per strada.

You got to be strong...
...You better be strong
 
posted by Stefano at 04:24 | Permalink | 2 comments
03 giugno, 2006
be alive
Il ghiaccio ha fumato sotto il Kalua che, poco prima di mischiarsi in un Black Russian, mi ha fatto immaginare quanto caldo stessi sopportando.
Poco male: le quattro bottiglie di vino che l'hanno preceduto (fortunatamente non tutte per me) avevano già anestetizzato il mondo circostante.
La ragazza al bancone mel'ha consegnato come fa con centinaia di altri uguali. Alcuni li mischia, altri li agita. Due cannucce dentro e il gioco è fatto.
Alla cassa il proprietario, che con un ghigno ti fa pagare un bicchiere come una pizza e una birra. Anzi due dei tempi andati.

Poi la lancetta del contagiri. Quella della macchina che, poco più di un'utilitaria, corre verso casa, sopportando i gesti violenti che i miei piedi devono fare sui pedali.
Acceleratore fino in fondo. Freno quasi fino a quando entra l'abs.
Incroci, curve, sterzate, tutti momenti veloci e quasi surreali che, attraverso il parabrezza sporco, disegnano un ondeggiante percorso verso casa.

Pausa sigaretta, si esce un po'. La musica a tutto volume, ormai la stessa che travestita da "revival" ripercorre le stesse note di otto-dieci anni fa, fa muovere corpi inondati di alcol. E svuota la testa dai problemi della vita quotidiana.
Non fumo, ma rubo l'occasione per uscire un attimo, per isolarmi da quei momenti di alcolica solitudine dove uno sguardo accende gli appetiti ormonali. E dove ti senti falsamente leggero.
È l'occasione per respirare un po', per scappare dalla cappa che tanti corpi in movimento creano. Scaldando l'ambiente ma non l'animo.

I lampioni si susseguono, il volante segue una riga bianca intermittente. Una voce dentro ti dice che stai correndo troppo, ma non l'ascolti.
Sai che dietro quella curva, oltre quell'incrocio potrebbe esserci qualcosa che -con uno schianto- fermerebbe una folle corsa verso il tuo letto.
Un letto che ti accoglie beffardo ma sempre disponibile. Ti aspetta quando sei così stanco da non riuscire a fare due più due. Che ti strappa alle tue illusioni, e ti ricorda quanto sei solo. E che ti trattiene quando la mattina smetti di sognare, e riaprendo gli occhi devi mettere un piede dietro l'altro in un mondo che non ti vuole vedere. E accogliere.
Una fuga.
Una fuga da quel luogo inutile, sudato, surriscaldato. Privo di ogni sentimento.

Una bottiglia di Crystal. Dicono sia il meglio che c'è. La portano in un cestello pieno di ghiaccio, alzandola come un trofeo. C'è anche una specie di bastoncino luminoso, di quelli che si usano a capodanno. Serve per far vedere a tutti cosa stanno trasportando. Una sorta di celebrazione.
La stappi, la distribuisci. Sai che quella bottiglia costa come una settimana a Formentera. Ogni goccia potrebbe sfamare in quel momento un bambino da qualche parte nel mondo.
E sai anche che non l'hai pagata tu, ma chi sta festeggiando la sua sudata laurea.
Non è il meglio che c'è. Non vale nulla, sono solo bollicine con il gusto di sempre, magari più raffinato, magari meno invadente. È qualcosa che il palato ha già conosciuto, magari in una veste non proprio uguale.
Ma è anche un simbolo, un segno della propria forza economica.

È paradossale scoprire come, dopo un'inutile serata a ballare musica inascoltabile, la vita abbia più peso rischiandola. Correndo più del dovuto.
E ringraziando Dio di averci dato questa dote al volante, di saper guidare bene. O abbastanza bene da tornare a casa interi.
Interi fuori, perché dentro sta continuando inesorabile la distruzione.
È la campana di vetro, quella sotto la quale siamo cresciuti.
Ad ogni rintocco s'incrina sempre di più, e fa entrare l'aria inquinata della vita vera.
Ero piccolo e mi divertivo con una risata, imitando un animale tra amici.
Oggi devo svuotare la testa, dicendo no alla droga, ma rimanendo imbalsamato fino al secondo cocktail.
È tutta colpa mia: sono cresciuto sotto una campana di vetro così bella, così confortevole, che il trauma della quotidianità, l'abitudine al divertimento effimero prendono il sopravvento.
E mi sento solo.
Ci sentiamo soli.
E per sentirci vivi dobbiamo rischiare la vita.
 
posted by Stefano at 04:02 | Permalink | 2 comments
01 giugno, 2006
Aridatece la primavera!!
Voglio solo dire che:
- ho fatto i tre esami, ma non dico nulla fino a quando non escono i risultati
- ho un lavorone in ballo che aspettavo da tanto, e sono vicinissimo a farlo finalmente partire
- ho dormito 15 ore in 3 notti
- fa un freddo cane
- ogni volta che stramazzo sul divano faccio una fatica tipo nonnetto a rialzarmi

Inoltre, se non torna immediatamente la primavera e non mi permette di andare al mare, faccio un macello!!!
 
posted by Stefano at 18:28 | Permalink | 0 comments