Are you gonna be the one who saves me?
29 novembre, 2005
Rockin' Chair
Momento Masterplan.
Dopo "i successi" delle settimane passate (che come in Acquiesce sono un eco di "what's the story"), sono tornato a dover fare i conti con la quotidianità.
O quella che gli amanti del postmodernismo chiamano "routine".
E scopro quanto l'essere umano sia insoddisfatto di quello che ha. Quando lavora troppo, vorrebbe lavorare di meno; quando ha un momento di pace si trova a fare a cazzotti con la noia; quando non ha una donna piange il suo essere solo... e quando cel'ha invidia gli amici single e la tratta male.
Gli antichi romani dicevano "in medio stat virtus", che però alle mie orecchie suona un po' come "chi s'accontenta gode".
E quindi sù il bavero, si affrontano queste gelide giornate, le ultime che ci separano da Dicembre, il mese del Natale, della neve, dei regali, del capodanno... e delle "somme". "Chiuso per inventario" a volte si legge sulle saracinesche dei negozi che, dopo un anno di duro lavoro, vogliono sapere cos'hanno veramente combinato.
Personalmente non chiuderò per inventario, anzi intendo voltarmi indietro solo quando mi sentirò troppo vecchio per guardare avanti. Ciò non toglie che gli psicanalisti vedono i periodi delle feste come i più difficili per chi soffre di depressione, per via dei ricordi che bussano dalle porte del passato.
Ma io non soffro di depressione, e neanche di attacchi di ansia, mi sento semplicemente disilluso dalla realtà di tutti i giorni, e un po' come in Rockin' Chair sento il peso del passato, dei ricordi, che riaffiora quando mi trovo a fissare il mio telefono. Mentre fuori arriva il Natale.
E riemerge quel senso di solitudine con cui quest'ultima settimana ho avuto pieno contatto. Ci ho praticamente sguazzato dentro.
Parlo dell'Art Cafè naturalmente: uno dei locali (dicono) più fighi di Roma, forse uno dei pochi che si salva e che riesce ancora a far "sentire qualcosa" a chi ci mette piede dentro, un qualcosa che a mio parere è un surrogato (alcolico) della vita. C'è un po' di tutto, tra cui ostentazione, recitazione, menefreghismo e autodistruzione.
Si ostenta il proprio modo di vestire e di ballare, di sapersi fare bello tra gli altri, di potersi permettere un tavolo al privè con alcol che scorre a fiumi e belle ragazz(in)e che recitano di venerarti quando invece sono le prime a fregarsene di tutto e tutti, sicure nella loro materiale ed effimera -temporanea- bellezza, frutto di stereotipi sociali e mediatici che ci costringono ad amare donne tirate a lucido come le Ferrari di Via Pinciana.
Il tutto termina nell'autodistruzione, quello che Nietsche ha chiamato nichilismo, ma con fonti e modalità terribilmente ingenue. Ci si ammazza di alcol, si rifiuta di affrontare la vita a viso aperto, ci si scherma dietro mode, aggregazioni, frasi fatte e omologazione. E luoghi come l'Art Cafè vivono grazie a queste patologie sociali, diffuse. Delle vere e proprie epidemie di amorfismo, che sfociano in quel mondo patinato della "bella vita". Che di vita ha ben poco.
Una risposta a questa mia opinione c'è, e conforta il mio timore di essere pazzo: so che è colpa mia. E i pazzi raramente si assumono la responsabilità delle loro visioni distorte. Quindi non sono gli altri ad essere sbagliati e folli, sono io che -in soldoni- rasento quotidianamente l'asocialità e il disadattamento.
Thomas Mann, nel suo (fin troppo) autobiografico Tonio Kroger riesce a liquidare in poco meno di un capoverso quello che voglio dire:
"A un'epoca in cui si potrebbe ragionevolmente pretendere di vivere d'amore e d'accordo con Dio e con il mondo, uno comincia a sentirsi segnato, a rendersi conto d'essere in incomprensibile contrasto con gli altri, coi normali, con la gente ordinaria; sempre più fondo scava l'abisso d'ironia, d'incredulità, d'opposizione, di lucidità, di sensibilità, che lo separa dagli uomini; la solitudine lo inghiotte, e da quel momento non c'è più possibilità d'intesa."
Solo che non sto parlando del presente, questo è un passato che ho già ampiamente interiorizzato, e con cui faccio i conti ogni volta che il sole, da est, ci ricorda che è il mattino di un altro giorno. E senza contare le mattine, ho la certezza che questa "rottura col mondo" l'ho cominciata tanto tempo fa. Non avevo neanche cominciato il liceo.
Chi mi conosce sa che queste non sono le ultime lettere di Jacopo Ortis, e Goethe è lontano anni luce.
Il mio è solo il classico delirio notturno, il classico momento in cui senti il bisogno di aprire la valvola, e sfogare quello che ti sei accumulato dentro.
Anche perché la settimana scorsa non è stata poi così distruttiva: mi sono visto due bellissimi concerti all'Auditorium, con la deliziosissima compagnia di Leila (a proposito di Obi Wan), il primo di Chiara Civello e il secondo di Incognito.
E proprio di quest'ultimo uno dei ricordi che non dimenticherò mai. La sala Sinopoli del nostro autitorium è il classico leccatissimo ambiente per concerti di musica da camera e orchestra sinfonica (forse è un po' piccola), posti a sedere numerati, bocca stretta "buongiorno buonasera", e ogni frase deve cominciare con il "mi scusi".
Beh il nostro caro Incognito ha portato 12 fenomeni del jazz e della black music, ha suonato divinamente e soprattutto ci ha fatto ballare!
Centinaia di persone, verso la fine del concerto, si sono riversate sotto il palco ed hanno cominciato a ballare, cantando, saltando, ridendo.
È lì che ho scoperto perché si va in discoteca: perché si vogliono vivere quei momenti di puro divertimento, in cui la musica ci avvolge e finalmente ci fa sentire vivi e non più soli. Dove si può gridare, ballare, pensare e comunicare che "ci piace" senza essere giudicati.
Posso davvero sperare che vivrò felice e sereno in un mondo senza giudizi e pregiudizi?
Ne dubito fortemente, anche Tonio Kroger mi seguirebbe, sperando di trovarsi bene anche lui lì. E ricomincerei daccapo.
All my life I try to make a better day. It's hard enough being alone.
 
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19 novembre, 2005
"Questi non sono i droidi che state cercando..."
Image Hosted by ImageShack.usPeccato che solo gli amanti si Guerre Stellari riconoscano questa battuta, che viene detta da Obi Wan Kenobi all'ingresso del porto spaziale di Mos Esley.
Sul suo "speeder" ci sono proprio i droidi che le guardie imperiali stanno cercando ma lui, con un gesto della mano e l'uso della Forza, li persuade a lasciarlo passare senza controllare i documenti.
Beh oggi mi e' successa la stessa cosa!
Minacciava pioggia (quindi niente moto), e mezz'ora scarsa prima dell'inizio della lezione ero ancora a casa. Preso di fretta il quaderno mi sono detto "faccio un pezzo a piedi, poi appena becco un tabaccaio compro il biglietto e salto sul primo autobus che mi porta all'università".
Il problema è che a quell'ora tutti i tabaccai/giornalai sono chiusi, e nonostante avessi un euro tintinnante (con le chiavi) in tasca, non ho trovato luogo dove comprarne uno.
Fortunatamente la mia università si trova molto vicino a casa, diciamo mezz'oretta a piedi, secondo i vari programmi di mappe online poco piu' di 3.4 chilometri.
Arrivato praticamente alla meta, e proprio due fermate prima (se avessi preso il bus), mi si ferma accanto proprio quello che devo prendere, aprendomi le porte con fare ammiccante. Che faccio? Salto sù e me la rischio? Beh certo, a Roma i controllori dell'Atac sono più rari di un lappone in costume, e in anni e anni di utilizzo irresponsabile del mezzo (da pagante) non ho MAI e dico MAI beccato un controllo. Inoltre quel tragitto su ruote si fa in meno di due minuti, a piedi ce ne vogliono almeno altri 4-5, e la lezione stava praticamente iniziando.
Le porte si chiudono, l'autobus parte. E io ci sono sopra.
Si fa il suo bel tragitto, e arriva alla fermata, quella in mezzo, quella prima della mia.
Beh in quel momento avrei tanto sperato di aver visto un esercito di lapponi ciccioni in costume, perché, ebbene sì, sono saliti tre controllori.
Secondo l'assioma "non te becco, ma si te becco te rompo" mi sono preparato al peggio. Volevo morire. Nonostante la mia capacità di restare impassibile, uno dei tre (il più giovane) è venuto diretto verso di me e mi sono trovato nella classica situazione "mani nella marmellata".
Mi chiede il biglietto, "non cel'ho". Allora dammi un documento ti devo fare la multa, "quant'e' la multa?". Cinquanta euro se pago subito CENTO se me la mandano a casa col bollettino. Gli dico che non ciò una lira, che sono studente, che ero salito la fermata prima per sbrigarmi, visto che la lezione sarebbe cominciata a momenti e a piedi non avrei fatto in tempo.
Gli chiedo cortesemente, almeno, di farmi scendere, così non mi sarei dovuto fare un ulteriore tragitto a ritroso, perché nel frattempo ero arrivato. Mi dice: hai 50 euro per pagare la multa? "no". Hai il bancomat per ritirare i soldi e pagarmi? "no, ho la postepay con 8 euro di ricarica dentro" (bugiiia). Alché, una volta sceso, ci allontaniamo (figura miserrima con la gente alla fermata che si impicciava) e mi dice "almeno cel'hai un euro?". Tintin! Certo che cel'ho, sta insieme alle chiavi.
Taaac "eccolo qua, vedi era pronto per comprare il biglietto, ma non ho trovato un posto dove prenderli e me la sono fatta quasi tutta a piedi!".
Beh mel'ha levato di mano, sel'è messo in tasca, e tipo il Mago Forrest ha tirato fuori un biglietto: mi ha detto "tieni, e se ti ribecco mi paghi anche questa volta".
Calcio in culo! E il biglietto non era neanche timbrato, quindi lo posso ancora usare!!

Che faccio me lo tengo per ricordo?
 
posted by Stefano at 01:02 | Permalink | 0 comments
18 novembre, 2005
SOTSOG
...ovvero standing on the shoulders of giants.
Un brit-blog non può mancare un titolo di questo tipo, e poi è la colonna sonora di questo ennesimo delirio notturno.
Da oggi il mio blog cambia faccia, e si veste di un template by Pannasmontata, che se da un lato non ricalca il mio aspetto fisico (facendo sport ho un po' di pettorali, ma non così tanti!), dall'altro ha un "argenteo fascino" che ha catturato la mia attenzione.
Attenzione catalizzata, questa settimana, da tante altre piccole-grandi vicende. In verità Domenica scorsa mi ero imposto di frequentare tutte le lezioni di questa settimana (quindi attenzione di tipo "studioso") altrimenti finisco a chi l'ha visto, e poi perché una mia collega venerdì, con fare ammaliante, mi ha chiesto se venivo anche lunedì. La mia enorme abilità di mantenere le promesse con le donne si è rivelata in tutta la sua prorompente verità: questa settimana non ho ancora messo piede all'università... Dubito che lei sia rimasta sull'uscio ad aspettarmi, ma effettivamente questo rivela perché dopotutto sono ancora single. Non è che non mi piace (a me le donne piacciono tutte, ogn'una esprime una sua nota di irresistibile fascino - per la serie "basta che respirano"), ma forse mi riempio la testa di talmente tante cose, che poi quella che dovrebbe "tirare di più" la bistratto. Ma chi mi conosce sa che sono fatto così, e sono quasi convinto che mi dia un tono non del tutto negativo. L'importante è non passare per "moderno", o come dicono gli amanti dell'ortaggio, "finocchio".
Questa settimana ha, come evento saliente, la serata di martedì all'Art Cafè. C'è chi dice che sia il locale "più figo della capitale", chi invece lo trova il peggior guazzabuglio di coatti ripuliti e infighettati per giocare, quelle due volte a settimana, a sentirsi "belli".
Io ero lì per lavoro, il mio prof/tutor (con cui preparerò la tesi) è uno dei proprietari, e mi ha tirato dentro per uno stage. Che si è aperto con una serata all'insegna dell'alcol (come avevo giustamente anticipato mi sono preoccupato di analizzare copiosamente la qualità dei cocktail) e di tante nuove conoscenze. Conoscenze abbastanza fuori dal comune: ricevuto l'ordine di presentarmi lì da solo, mi hanno "gettato" dietro la console (in parte per spiare e riportare, lo ammetto) e sono stato davvero bene. Anche durante le prime fasi da sobrio!
Diciamo che il DJ è molto simpatico e alla mano, un pischellone di 28 anni che, un po' come me, prende più sul serio il suo lavoro che se stesso. Poi c'è il "LJ" (light jokey), uno scenografo - anche lui molto simpatico e alla mano - che non faceva altro che strattonarmi la camicia per indicarmi un bel paio di chiappe (che all'Art Cafè fortunatamente non sono un bene così raro). Ignaro però del fatto che, nonostante la mia miopia, le avevo già tanate da qualche tempo.
Poi c'è "switch", il factotum che potrebbero scambiare per mio sosia. Occhiali, comportamento sfuggente, si arrampica e spulsanteggia ovunque nel locale, una sorta di Mister Wolf tarantiniano che risolve problemi di ogni tipo. Davvero, anche lui è un genio della tecnica, e questo mi tranquillizza ernomemente: se c'è da sistemare qualche cagata con l'impianto audio/elettrico/luci non dovrò essere io a dimenarmi tra le amebe cerebrolese che farfugliano "non funziona"... ma ci penserà lui!
Poi c'è "l'occhio meccanico", il cameraman, che gira riprendendo i momenti dell'Art Cafè. E sarà la mia fonte di girato da montare, quando il mio progetto-tesi prenderà vita. Lui è incredibile: non si leva mai la giacca, è serissimo, non beve neanche una goccia d'alcol e rimane quasi impassibile di fronte all'interessante fauna del locale. Occhio all'ortaggio, ma non mi sembra il tipo.
E poi c'è il VJ, quello a cui dovrei fregare il lavoro un giorno. Eh sì purtroppo è malvisto dai direttori/capi, e lo vogliono mandare via. Peccato anche lui è alla mano, anche lui si astrae in voli pindarici quando ci sfilano davanti le ballerine/ragazze immagine, e anche lui si ubriaca lavorando. Non so se sarò bravo quanto lui con il mixer sottomano, ma per il resto direi che siamo assolutamente alla pari!
Non posso non conlcudere senza citare Emily. La vocalist. Che nonostante la "presenza fisica" mi ha accolto con calore e apparente interesse, dedicandomi qualche frase fatta con il microfono in mano, e ballando con me quando ormai Bacco si era impossessato delle mie capacità motorie.
E forse questo è stato il momento più bizzarro della serata: odio letteralmente mettermi in mostra, odio finire al centro dell'attenzione, e odio procurarmi l'invidia altrui. Anche questo è un aspetto del mio carattere che i miei amici conoscono molto bene, ma quando i "freni inibitori" vanno a farsi un giro, lo ammetto, divento una mina vagante. E per quel poco che mi ricordo, ero completamente circondato dalle "ragazze immagine" di prima, che poi si sono anche preoccupate di prendere il mio numero di cellulare!!!

Mercoledì mattina sono tornato con i piedi per terra. Il primo motivo di una così brusca ricaduta è stato il mal di testa. A me viene raramente il mal di testa, ma all'Art Cafè caricano i cocktail all'inverorimile, e il mio "mecenate" mi ha portato dal barista e gli ha detto "lui è ok". Va bene che ero "ok", ma il giorno dopo non lo ero per niente!!! Poi il cellulare: secondo me il numero se lo sono preso per darlo ad un bravo dottore, visto che ancora nessuna mi ha chiamato (e io coglioncione come al solito non ho detto "ma dai dammi il tuo, ti chiamo ioh!"). E poi c'è il lavoro: adesso devo dedicarmi al libro del marketing della musica, e completare il mio capitolo sull'industria musicale. Speriamo di fare in tempo per il 28 (10 giorni scarsi), e soprattutto speriamo che questo weekend non sarò di nuovo "ok".
Perché omai lì sono di casa, e dovrò tornare lì sia il venerdì che il sabato.
Ce la farò a portarmi via Emily come premio di produzione, un giorno?
Dubito che le dispiacerebbe...
 
posted by Stefano at 02:41 | Permalink | 0 comments
11 novembre, 2005
Acid Jazz
Ovvero un sound indefinibile.
Stasera sono stato alla Casa del Jazz per incontrarmi, insieme a The Cube, con Nils Petter Molvær. Il motivo era semplice: consegnargli quello che potremmo catalogare come contributo (il nostro video con fotografie), e sentirci un concerto davvero incredibile.
Cominciamo con il gruppo: bassista, batterista, Nils (che suona la tromba) e due DJ, di cui uno impegnato a tempo pieno con un campionatore e mixer (e canta pure).
Il bassista si occupa anche di tastiere, Nils suona (a seconda del momento) in due microfoni differenti (con diversi mixing e riverberi), il batterista suona una batteria stranissima, "nana", senza tom e un PC... senza contare un sesto elemento che prende possesso della regia luci e crea un ambiente molto teatrale.
Il risultato è da vero "trip", un "tunnel" musicale di rumori e sonorità assolutamente uniche nel loro genere, dove l'abbinamento di loop e dischi tipicamente da discoteca sono abbinati a session tipicamente jazz, ma completamente stravolte e rielaborate.
Un sound che trasporta e meraviglia, privo di fronzoli eppure così completo e curato. Devo dire che il risultato è stupefacente, come stupefacenti sono le persone che ho conosciuto. Sono rimasto a cena con Gegè, ci siamo fatti una bella chiacchierata sulla new economy, sulla radio, sul business. Tutto tranne la musica. Si vede che forse si è un po' stufato. E poi c'era Micky, speaker di radio Capital che si occupa del programma "Extra" il sabato e la domenica notte. Un tipo tutto matto, divertente, estroverso fino all'impossibile, che dopo due bocconi mangiati insieme mi ha coinvolto e mi ha portato ad un locale dove suona il suo "alter ego", Alex Paletta, DJ davvero bravo e anche lui dotato di quell'umiltà e generosità che solo i musicisti, quelli veri, sanno avere.
Serata all'insegna di nuove conoscenze, farò fatica a ricordarmi tutti e tutte, molto "easy" e assolutamente "inedita".
Ho conosciuto aspiranti attori, aspiranti musicisti, aspiranti manager. Tutti ragazzi come me, con la testa sulle spalle, ma senza la fortuna di avere una famiglia che mette mano al portafogli e ti cava d'impiccio senza battere ciglio.
Meritano un applauso, e sono un esempio per tutti quelli che, un po' come me, se si trovano con le tasche vuote tirano la giacchetta a papa' e gli chiedono aiuto, economico.
Menomale che io l'avrò fatto meno di due o tre volte, ma una cosa è certa: senza la preoccupazione di arrivare a fine mese tutto sembra più facile.
Eppure loro spingono come treni, e penso di poter dire che un giorno ogn'uno di loro sarà davvero qualcuno.
 
posted by Stefano at 03:03 | Permalink | 0 comments
10 novembre, 2005
Austin Powers for you
È inutile piangere sul latte versato, è inutile illudersi che qualcosa prima o poi finisca.
Il mio secondo blog è stato scoperto dalla mia ex, e tanto per cambiare è stato usato contro di me.
L'alternativa è ricominciare da zero, cambiare nick, cambiare vita, cambiare identità.
Un alter ego, un Adriano Meis, che permetta ai miei pensieri di viaggiare sui fili della rete, semplicemente perché troppo vivaci per stare rinchiusi in un diario, e non abbastanza interessanti da riempire le pagine di un libro, o qualche giornale.
Beh comunque sia splinder mi stava antipatico, l'interfaccia non è ai livelli di blogspot, anche perché non permetteva di salvare le "bozze" dei miei sproloqui.
E quindi eccoci qui, con un nome fin troppo brit, che rappresenta il mio punto di riferimento virtuale, una valvola di sfogo e un luogo dove confidare le mie esperienze quotidiane, questa volta però cercando di mantenere il massimo anonimato possibile.
Mi è stato già chiesto perché, se scrivo su internet i cazzi miei, devo prendermela se li legge anche chi non vorrei. Il problema è che chiunque può venire qui a leggere tutto quello che vuole, magari ridersela anche, ma c'è solo una persona che non sa comportarsi con me, e questa persona ha un attaccamento così morboso e indisponente nei miei confronti da costringermi alla fuga.
Che già una volta è fallita.
E allora connettendo questo filo virtuale che unisce i miei tre blog, filo di cui soltanto pochi sapranno il vero percorso, voglio ripartire raccontando la giornata di oggi (cioe' ieri).
Innanzitutto ho dormito troppo. Per gli altri e per il lavoro però! Dopo una sana pera d'aspirina (causa odiosa influenza) mi sono ficcato a letto, dormendo 12 ore filate. Oggi mi sono alzato come un leone, l'influenza un pallido ricordo (giusto un po' di raffreddore), e la mente in fermento.
Il calderone bolle come non mai e, peggio di una fattucchiera, sto preparando queste ultime settimane che ci separano da Natale e la fine dell'anno.
Partiamo con "She's electric". L'ho rivista, e ho sentito nuovamente quei sentimenti, quelle sensazioni, che non ricordavo da un bel po'. Non so se si possa catalogare come infatuazione, ma diciamo che il desiderio di conoscerla meglio, di incontrarci, di prenderla per mano e portarla sul mio "rollercoaster" è molto forte. Questa intenzione, questa voglia di aprirmi e permettere a qualcun'altro di condividere con me le folli visioni che ho della quotidianità, non mi capitava da tanto tempo. Perché diciamocelo, crescendo si ha sempre meno l'intenzione di sbilanciarsi, e mentre da piccoli cadere fa parte del gioco, quando si diventa più maturi nessuno è disposto a passare per coglione, principalmente per motivi d'orgoglio, figuriamoci quando in ballo c'e' "she's electric".
Con lei no, anche se ho visto nel suo sguardo un chiaro messaggio, che dice "so cosa sono, non sei il primo"... e non mi stupisce: è davvero bella. Questi suoi modi di fare un po' timidi e fragili, ma mai da "gatta morta" sono proiettili a bruciapelo. E la "maiolica" che mi porto in petto non ci ha messo troppo a cedere. O quantomeno a far sapere ai piani alti (tra le orecchie) che tocca darsi da fare!
Ma quassù i cassetti sono vuoti, quindi l'unico sistema che mi passa per la testa è trovare il classico coniglio da tirare fuori al momento opportuno. Ho venti giorni circa, me li farò bastare per inventarmi un sistema di stupirla ancora, come ho fatto ieri e come ho fatto due settimane fa. Speriamo bene, viceversa un altra tacca sul suo fucile, e un altro coglione che deve cambiare mestiere. Con le donne.
Di palo in frasca: stasera mi sono gustato i "Groovinators", ovvero Gegè Telesforo e la sua skillatissima band. Hanno suonato al Big Mama, un buco, e l'hanno imploso. Praticamente è crollato il palazzo. Là in mezzo ero visibilmente il più giovane, e il meno fomentato, mentre agli altri tavoli c'erano donne che potevano essere mì madre, fomentate come bestie, a fischiare, applaudire e saltare con le rifinitissime note del gruppo. Davvero un concerto coi fiocchi, qualcosa di irripetibile, e frutto di personalità artistiche che si sono rivelate nella loro incredibile "alterità".
Parliamo di musicisti che girano il mondo, suonando nei concerti più belli, che preso in mano lo strumento riescono a far vibrare anche l'asse terrestre. Fuori dal locale li vedi così, un po' malvestiti, con la gobba per la loro cattiva sopportazione della quotidianità, uno sguardo sfuggente, il chiaro indizio che sono incompleti, "in mutande".
Una volta saliti sul palco, preso lo strumento cambia radicalmente la postura. I trapezi (i muscoli che uniscono il collo alle spalle) sono rilassati, gli occhi che guardano con una tranquillità insospettabile, la gobba che sparisce. Gegè dà il quattro, schioccando le dita, e comincia il concerto. All'inizio si vede che giocano: si guardano, se la ridono, c'è l'intesa dei professionisti, artisti, che con una sola occhiata sanno trasmettersi pagine e pagine di spartito. Il mood, il groove come lo chiamano, comincia a materializzarsi, quasi lo tocchi, e a un certo punto puoi scommettere di vedere un'aura, una luce, che li avvolge e li connette, creando una sfera unica: Gegè, i groovinators, i loro strumenti, gli spettatori, e perfino le colonne e i muri del Big Mama.
E allora ogn'uno di loro "esce dal coro" e si prende il suo assolo. C'è il basso, che comincia a mettere in sequenza note impossibili, veloci ed accurate. Ma non fa da solo, c'e' Dario che lo suona, e vedi una sorta di essere sovrumano. Smorfie della faccia, contrazioni e scatti che vedresti su un folle, il viso grondante e il pubblico letteralmente in visibilio. Poi c'è Marcello alla batteria, che quando comincia a sfracellare i trentaduesimi sbarra gli occhi, comincia a saltare sul sellino e spacca tutto. Davvero, quella povera batteria l'ha esplosa, distrutta. Mai visto nulla di simile, con Gegè sotto che dirige, guarda, agita le braccia, suona il tamburello, e canta con quel modo tutto suo i brani che ho riascoltato decine di volte per fare il suo video. E non erano così belli.
Poi è toccato a Fabio, che con la chitarra non è secondo a molti: suona sempre ad occhi chiusi, lui non ha bisogno di Gegè che lo guida. Sa già cosa deve fare, accompagna, guida, riempie i suoni degli altri, camminando leggero sul suo manico, per farci respirare note che non avevo mai sentito prima.
Forse sono troppo ignorante per capire cosa ho vissuto, ma sono sicuro che questa è stata un'esperienza irripetibile.
Che dire? Ho cominciato a scrivere con il colpo di tosse che precede Wonderwall, ora sento le sottili onde che accarezzano Champagne Supernova. Direi che è giunta l'ora di dormire, oggi chiuderò gli occhi con la sensazione, per la prima volta, di aver visto e toccato la musica, oltre ad averla ascoltata.
The world's still spinning around, we don't know why .
 
posted by Stefano at 00:02 | Permalink | 0 comments