Are you gonna be the one who saves me?
27 dicembre, 2005
What would you think if I sang out of tune?
Frase spettacolare di uno dei brani indimenticabili dei Beatles.
Fa parte del Seargent Pepper's, e comincia dopo il frizzante inizio, con la "banda" che suona e presenta Billy Shears (Paul).
Sto parlando naturalmente di "With A Little Help from My Friends", un pezzo davvero bello. Come tutto il disco d'altronde, uno dei veri capolavori del nostro tempo.
La ricerca del Natale, come le premesse hanno ampiamente dimostrato, è proseguita anche questi ultimi due giorni, sia il 24 notte, sia tutto il 25. E devo ammettere che ho vissuto esperienze abbastanza singolari, che però erano frutto di un'attenzione cognitiva "da laboratorio". In poche parole stavo con le antenne orientate e "captavo" tutto il possibile.
Passo uno: sono tornato in chiesa, ho assistito alla Messa di mezzanotte in parrocchia.
Non ho più messo piede in quella chiesa (e neanche in altre a dire il vero, a parte fuggevoli visite per vedere qualche opera d'arte) da quando c'è stato il funerale di mio nonno, un paio d'anni fa circa. Neanche mi ricordo quand'era.
La situazione è stata molto singolare, sono stato l'unico di casa ad andarci, e mi sono aggregato ai miei zii e mio cugino, che si trova in quell'età in cui i genitori sperano ancora che tu sia un ligio Cristiano, come voleva la nonna, e forse anche la bisnonna.
Forse mi scomunicheranno, ma mi sono chiesto come ha fatto la gente lì dentro a non crollare definitivamente dal sonno! Certo non mi aspettavo una rappresentazione pirandelliana, ma speravo che con occhi più adulti avrei apprezzato lo svolgimento della Messa, e avrei trovato un barlume di quello che mi hanno fatto studiare all'università.
Parentesi autobiografica: studio vicino San Pietro, università cattolica e privata, e nel piano di studi ho due esami di teologia, uno sui dogmi e uno sulle Sacre Scritture. Speravo di trovare quello che ho studiato, di vedere come il Parroco, celebrando, avrebbe dato naturale "forma" alla vita di Cristo, avrebbe trasmesso qualcosa che da piccolo non ho minimamente sentito.
Anche perché da piccolo andavo in chiesa per imposizione familiare, e -almeno personalmente- ci andavo per fare casino, menarmi e giocare a pallone con i miei coetanei, prendere per il culo i catechisti (in genere poco più che maggiorenni) e farmi trattare male dal Parroco che mi vedeva come un'indemoniata piccola peste. Credo che di nascosto abbia contattato un esorcista, e mi abbia fatto osservare.
Insomma il mio rapporto con la chiesa è sempre stato molto simile a quello con l'alimentari o il lattaio: ci andavo perché mi ci mandava mamma.
Tornando al nostro Natale 2005, mi sono trascinato agonizzante fuori dal portone della chiesa, e ho rivisto facce e volti che invece, quando ero piccolo, in chiesa c'andavano perché si sentivano davvero attratti da quel luogo. Sono rimasti uguali, ho visto anche una mia "ex" (o quasi) che mi ha subito riconosciuto e, con una voce bellissima e matura, mi ha salutato e baciato sulla guancia... dopo avermi squadrato come ha sempre fatto, e avermi appiccicato una L di LOSER sulla fronte. Dopo che ci siamo persi di vista mel'ero staccata, mi pesava un po' quel suo modo di vedermi...
Sono tornato a casa, mi sono infilato nel letto e non ho neanche pregato. Insomma avevo già dato quel giorno.
Non cambierò mai.
Passo due: the Christmas.
Il 25 è cominciato in modo abbastanza agitato: ho dormito troppo, non ho messo la sveglia, e sono sobbalzato nel letto, svegliato dal baccano dei primi parenti che si sono presentati a casa. Era tardissimo (quasi ora di pranzo, sentivo l'odore dell'arrosto per casa), ma fa parte del gioco: da piccoli non si vede l'ora di buttarsi a pelle d'orso sotto l'albero per scartare i regali... da grandi si cerca la forza di dover rivedere in faccia i "parenti serpenti" e ripassarsi a mente la pappardella "casa bene, amici bene, donne bene, università bene..." e palle piene.
Insomma sono uscito dalla doccia ancora mezzo zombie (classica situazione in cui si dorme troppo e scatta il rincoglionimento da ricovero), c'era già la fila per pisciare e mi sono pure beccato un "ma quanto ci metti a farti la doccia?!".
Quando non sanno che in questi casi sono sonnambulo, e sotto la doccia si conclude a malapena la fase REM. Ammetto che i buoni propositi del giorno prima, in quel momento, sono stati sostituiti da un tuonante "vaffa", che fortunatamente ho gridato solo tra me e me.
Insomma mi trascino malvestito, con i capelli mezzi umidi e spettinatissimo, a tavola. Occhi a fessura, sveglio il mio stomaco con un bel prosecco gelato. Un montante allo stomaco dello zio Mike avrebbe sortito lo stesso effetto.
In compenso sono una mezza bestia, e in pochi attimi si è svegliata in me la Vera Fame Tossica. Ho cominciato a trangugiare un po' di tutto, ignorando completamente i discorsi che facevano a tavola, non passando un cazzo (neanche l'acqua a mia sorella)... e rispondendo con grugniti/cenni del capo/bisillabi di vario genere.
Poi ho passato in rassegna la lista dei parenti. E come "Good Morning Good Morning" dello stesso disco di cui sopra ho cominciato a sentire il gallo, il cucù, gli animali, la caccia alla volpe. Poi mio zio (forse memore del trauma malcelato della sera prima) m'ha fatto il pieno di Montepulciano, inaugurando la mia Fase Distruttiva Natalizia.
Ho cominciato a sparare cazzate su tutto, sul lavoro, sulle abitudini (e i punti deboli..) dei miei parenti, sul cibo (che era buonissimo, ma era veramente tanto), sulla TV (vabè come sparare sulla croce rossa)... e ci siamo fatti due risate. Giusto due, perché anche in questi casi la sincerità riguarda solo una quota, il resto è "preconfezionato", e si recita la solita parte. Un po' come Pirandello, uno nessuno e centomila, ogni parente ha le stesse parole/atteggiamenti con ciascuno della famiglia. Sottomissione con uno, fiancheggiamento con l'altro, conflitto con quell'altro ancora. E a parte qualche risatina isterica ti senti vecchi rancori strisicare sui piedi, piedi che tirerebbero volentieri un calcio a chi sta di fronte.
Ma vabbè, a casa mia è molto meno sentita questa cosa, siamo tutti molto pacifici. Anche se sotto il tavolo qualcosa striscia sempre...
Passo tre: arrivano I Regali.
Per gli amanti dei manga, titoloni in Kanji che schiacciano tutto il parentame raccolto intorno all'albero, con ginocchia di nonnette che scrocchiano semifratturate, e rigurgiti dei vari apparati gastrici compressi dall'innaturale postura (ok quest'ultima era trucida).
Terrificante.
Da un lato i soldi. Non conosco nessuno che a Natale non ha mai beccato una bustina dal parente che non sa un cazzo di noi e, al posto di un pacchettino, ci abbia appioppato qualche soldo da spendere come vogliamo. "Tanto te li spendi per quello che vuoi, è meglio no?". Pensa se gli rispondessi "grazie, stasera c'è proprio quella bionda a Via Salaria che mi aspetterà felicissima"...
Per gli altri, entriamo nella fase cruciale: i regali "giusti" e quelli "sbagliati". Una sorta di Giudizio Universale si scatena nel momento in cui si tira la cordicella del primo pacchetto: avrò fatto il regalo giusto? Gli piacerà? Penserà che non ho capito un cazzo di lui? Penserà "guarda sto pulciaro poteva spende qualche soldo in più"?
Occhi spauriti mi hanno fatto la radiografia, cercando di cogliere un successo o un insuccesso.
Potrei dire che in parte ci sta, con i tempi che corrono spendere soldi per un regalo e soprattutto andarlo a comprare (con il casino che c'è) non è affare da poco... ma come cantavano gli Eagles "Take it Easy", tanto non è che se mi becco un regalo del cazzo non ti voglio più come parente...
Insomma il pomeriggio giunge faticosamente alla fine, il sole tramonta, e sembra che il giro di boa sia fatto.
Anche questo Natale è entrato nella storia, ma il caso mi ha voluto donare un epilogo.
Passo quattro: ma come je sto?
Diciamo che era passata da poco la mezzanotte, stavo entrando nel pieno del mio Onomastico, e su Sky hanno trasmesso The Passion of The Christ. Film in aramaico, di Mel, fatto benissimo e mostruosamente drammatico.
Sono entrato in fase autodistruttiva, cavalcando l'onda del nonsense: il giorno in cui si festegga la nascita di Cristo, io mi sono visto come è morto. Trentatrè anni di pofessione profetica "bruciati" in poco più di ventiquattr'ore.
Beh la mia mente è immediatamente tornata al giorno prima, quello della Messa Soporifera, e mi sono chiesto se sia davvero giusto che un uomo morto così, meriti di essere ricordato con un'agonizzante celebrazione che farebbe dormire anche un cocainomane cocainato.
Lo so mi scomunicheranno, ma ho capito perché la gente quando fiuta qualcosa che ha a che fare con la Chiesa ci appiccica la targhetta "vecchio/stantio/obsoleto" e passa oltre.
Quando sono il primo a pensare che non è così, che ho studiato con profonda passione le Sacre Scritture, e che ho combattuto un anno e mezzo con la mia donna Islamica difendendo la mia cultura, e la cultura della pace e dell'amore (che non sembra così chiara alle altre due religioni monoteiste del nostro tempo).
Ad essere vecchia è la Chiesa, non il Nuovo Testamento, quello è un libro che ha ancora tanto da dire, il problema è chi lo dice.
Ascolteremmo i Beatles se ce li dessero solo su LP, e a casa avessimo solo lettori MP3?
Insomma, mi sono voltato indietro, ed ho scoperto che la preghiera islamica per certi versi è molto più "essenziale"... e forse più adeguata. Tutto il modo di pregare islamico è più efficace, e i movimenti (che ho visto da vicino) riescono a dire molto di più di quello che ci propinano con una Santa Messa.
Ok, forse sto esagerando, e per fortuna questo blog non avrà una fase cinque (l'ultimo che c'ha provato è morto sulla croce), ma posso dire che questa ricerca del Natale perduto da un lato è stata infruttuosa, dall'altro mi ha insegnato molto.
Ho imparato che i parenti non cambiano mai, che le ex non cambiano mai, che le Messe non cambiano mai, che da bambini se ci facciamo un'idea difficilmente ci sbagliamo (e se cambiamo idea è frutto di razionalità e non di cuore), e che ho cercato il Natale sbagliato. Speravo di trovare una versione adulta di Babbo Natale, che ha rottamato le renne, che se ne va in giro con il portatile, e spedisce i regali tramite corriere e portale e-commerce.
Ma soprattutto ho imparato che se il Natale oggi ha perso la sua dimensione "divina" e "religiosa" non è del tutto da affibbiare alla disintegrità morale della nostra società. Perché quella cambia, corre dietro al progresso buono o cattivo che sia, e se davvero ci vogliono a mani giunte e inginocchiati a "rendere grazie", dovrebbero entrare nel cuore della gente con un po' di "bello". Un po' più di arte.
Che so, un po' di Gospel.
 
posted by Stefano at 03:32 | Permalink | 1 comments
24 dicembre, 2005
Let it snow, let it snow, let it snow...
Bellissimo "Pezzo Frank Sinatra" che, quest'anno, ha ricevuto più attenzioni del solto da stampa e critici di musica.
Mi ero promesso di farmi vivo dopo il cenone della vigilia.. beh eccomi qui.
Il Natale a casa mia non si vive ai livelli tradizionali dell'agnello scannato (e poi la vigilia si mangia solo pesce), ma comunque il ritrovo delle orde scalpitanti di parenti è sempre qui, anche perché ho l'immane fortuna di una madre (e uno zio) che dietro ai fornelli sono diabolicamente bravi. Quando aprirò un ristorante tutto mio (risate del pubblico) saranno i miei chef!
I giorni che invece hanno diviso la mia rapsodia in rosso (dedicata al Natale) e la neve di questo blog sono stati spesi come avrei voluto: cercare di ripescare nella quotidianità la straordinarietà del periodo natalizio che, crescendo, si fa sempre più assente.
Grazie al mio malpagato lavoro di web-designer mi sono assicurato i biglietti per due serate all'Auditorium, validi per vedere due concerti del Roma Gospel Festival. La compagnia, davvero divertente, di Leila (sempre lei) e l'amica Alessia, una versione più "disingannata" di She's Electric, ma sempre molto gratificante dal punto di vista estetico. Sono quelle persone che amano la musica, qualunque essa sia: ballano Bob Sinclair fino alle 5 del mattino (fischiettando), e riescono a farsi coinvolgere da un concerto di musica classica. Beate loro.
Il primo concerto, martedì 20, è stato dei Take Six: un gruppo davvero straordinario, che in passato ha suonato con tantissimi grandi musicisti, tra cui cito solo Quincy Jones, Ella Fizgerald e Stevie Wonder. Il loro stile, chiamato "a cappella" (quello -bestemmiando- dei Neri per Caso per intenderci) è veramente straordinario, riescono a riempire lo spazio con sonorità davvero eccezionali. Sonorità peraltro ampiamente riconosciute, visto che si sono portati a casa anche sei Grammy Awards.
Il secondo concerto, giovedì 22, e' stato di Mavis Staples, figlia di Pop Staples (scomparso qualche anno fa), quello che in America considerano uno dei più grandi cantanti e compositori del Southern Gospel. Devo ammettere che la voce di Mavis era leggermente "stanca", ma i suoi 65 anni passati a ritmo di musica non sono privi di spessore. Su tutto spicca il forte legame artistico con Bob Dylan, e soprattutto la capacità di aver fuso il Gospel (e le sue radici Spiritual) alle sonorità R&B.
Un concerto davvero emozionante, con i Mavis Staples Singers che hanno fatto una parentesi jazz davvero memorabile.
Quello che però ancora una volta non ho sentito, è stato lo spirito del Natale. Ma ho scoperto che il problema è mio, e che potrebbe essere frutto di una distorsione che noi "gente comune" viviamo immersi nella quotidianità pubblicitaria, distorsione che gli artisti riescono a superare, grazie alla loro unica sensibilità. E riescono comunque a trasmetterti qualcosa di "natalizio"... che però non è lo spirito.
Con il senno di poi, il gioco di parole è anche divertente: trovare lo spirito del Natale, e guardarlo con gli occhi "adulti", ascoltando il Gospel che è cresciuto dallo Spiritual.
Insomma un trip (senza acidi) dentro noi stessi, alla ricerca di quella "stella cometa" che non manca in nessun Presepio che si rispetti. Due nuovi occhi che, tornando un po' bambini, siano la chiave di lettura di questo "solito evento insolito": stare con i parenti, mangiare a bestia, scartare i regali, e trovare le parole giuste (magari non banali) per fare gli auguri ad amici vicini e lontani.
Questa cometa l'ho trovata?
Prima devo digerire il pesce di oggi, l'arrosto di domani, e il pranzo (in mio nome) di dopodomani.
Come minimo ne esco allucinato!
 
posted by Stefano at 23:00 | Permalink | 0 comments
19 dicembre, 2005
Christmas Rhapsody
...e anche quest'anno è arrivato il Natale. O meglio, sta iniziando la settimana natalizia, quella che da bambini tanto aspettavamo e che adesso ci piomba sulla testa senza che quasi abbiamo rimesso nell'armadio i costumi di quest'estate.
Ai tempi del liceo c'erano vari step: settembre da dedicare alle pubbliche relazioni, per le persone che in un'estate erano cresciute ed erano meno sfigate. Ottobre per gli amori: riaprivano i locali (Gilda, Alien), e cominciavano i primi intrecci sentimentali, tresche, litigi. A Novembre invece toccava studiare: era in arrivo il pagellino del primo trimestre, e i bagordi di ottobre passati a casa della donna dovevano essere ridimensionati. Novembre era anche il periodo di crisi di coppia: cominciava a fare freddo, il vento di ottobre non accarezzava più il viso e le braccia, ma cercava di penetrare il grosso cappotto che dovevamo portarci addosso. Anche il motorino cominciava a fare polvere, e quindi veniva meno la voglia di andare a prendere la nostra lei per passare il poco tempo rimasto insieme. E poi neanche si faceva in tempo a posare la cartella a casa che era dicembre, inoltre con il ponte dell'8 e le vacanze dal 20 i giorni volavano.
Dicembre è sempre stato un mese particolare: da piccoli si scriveva la letterina a Babbo Natale, e si aprivano le finestrelle al calendario con i cioccolatini dentro. Casa accoglieva un enorme albero luminoso, e un presepio con la culla vuota, in attesa della nascita di Gesù.
Poi un po' più grandi si doveva fare i conti con la triste realtà che Babbo Natale, le sue renne, i suoi folletti e la sua barba bianca erano un "gioco", un'invenzione di chissà chi. Per tutti i bambini è una tappa fondamentale: scoprire che Babbo Natale non esiste significa crescere, e soprattutto significa avere la prova inconfutabile che anche i genitori dicono le bugie. E dopo anni passati a beccarsi punizioni per aver detto bugie uno che doveva pensare?
Ricordo ancora quell'anno in cui mamma e papà, con le facce serie e risolute, mi chiamarono a raccolta e all'insaputa di mia sorella (di un anno più piccola, quindi con un anno ancora di sogno), mi dissero chiaramente "ste, Babbo Natale non esiste". Punto. Non sapete che brutto scartare i regali quell'anno. Regali che anziché essere partiti da chissà dove, erano usciti dal solito negozio di giocattoli, pagati con la tredicesima di mamma e papà. E non saprei descrivere con quali occhi vedevo in mia sorella il sogno ancora vivo, le sue mani scartavano un pacco fatto da folletti al gelo del polo nord, trasportati in slitta trainata da renne volanti. Mentre io strappavo un nastro applicato in qualche negozio di giocattoli, o una carta avvolta con tanto amore da mia madre. Che però non era Babbo Natale.
Pensare che da piccolo già mostravo la mia terribile razionalità, ed ero arrivato a fare propaganda pro-Babbo Natale a scuola dicendo che alcuni giochi (quelli di plastica e stupidi) ce li compravano i nostri genitori, ma quelli belli, che piacevano anche ai grandi (trenini di legno, peluche sofisticatissimi), quelli sì venivano da lui, perché lui sapeva fare regali che piacevano a tutti, anche ai genitori. I regali più belli, quelli che non morivano con l'epifania, erano suoi. Erano bellissimi... ma d'altronde era un professionista!
Ricordo anche l'anno dopo la "rivelazione" della sua inesistenza: andai con mamma e papà in un enorme centro commerciale, con decine di scaffali, i carrelli, il posteggio fuori per centinaia di macchine... solo che al posto delle solite scatolette e cibarie varie, c'erano solo giocattoli. Pallet interi di bambole, lego, trenini elettrici. Tutti uguali, e anziché essere addobbati e imbellettati come i negozi normali, erano ammucchiati ovunque. Quell'anno anche mia sorella avrebbe saputo la verità, ma non potrei scordare le facce di bambini molto più piccoli di me che giravano smarriti in questo girone infernale, in questo magazzino di giocattoli dove mancava solo Babbo Natale impiccato alla cassa. Toccavano tutto con triste disinganno, e mi ricordo che neanche io ebbi la forza di chiedere qualcosa. Dovevo scegliere anche il mio regalo, ma non volevo nulla.
Ma il tempo passa, e tornando ai tempi dell'adolescenza, Natale diventa il periodo in cui non si deve studiare, e chi è sopravvissuto a Novembre può tornare a dedicare tempo alla propria donna, farle un regalo (magari il primo regalo importante), il primo bacio "vero" sotto il vischio. Le prime volte in cui due corpi infreddoliti dividono la stessa coperta, e si scaldano l'uno con l'altro vivendo solo del respiro dell'altro. Momenti che scorrono nelle vene, che ti porti sempre dentro, attimi di vita che vivono come un album di fotografie nella tua testa. E quando dici "Natale" ripercorri i sapori e gli odori, i profumi di quel maglione, la ruvidità della carta che ha avvolto il regalo che tanto avevi voluto, lo strettissimo abbraccio che accompagna il senso di appartenenza reciproca. Momenti colorati di rosso e di bianco, di piccoli cherubini che portano una candela o una tromba, di dorate stelline attaccate alle finestre, di luminosi e luccicanti rami dell'abete natalizio.

Questo per me sarà il ventiseiesimo Natale, e non vorrei passarlo come gli ultimi quattro o cinque. Dove anche il vischio, l'albero, i regali sono diventati routine. Il ritmo serratissimo, il lavoro, l'unversità ti trasformano in una locomotiva che anche quando non spinge "campa d'inerzia", e corre sempre più veloce sui binari della vita. Passando a tutta velocità su incroci e scambi. Scambi che magari passano inosservati, ma potrebbero farci prendere una strada forse migliore.
E non si può mai tornare indietro.
Avevo sei anni, e passai un Natale che non scorderò mai. Ero "cattivo", andavo male a scuola, la maestra voleva lasciarmi dall'insegnante di sostegno. Avevo imparato a leggere e a scrivere.. che altro dovevo sapere? Mi portavo i giochi a scuola e anziché stare seduto al mio posto giravo per la classe, giocavo, picchiavo i miei compagni (come all'asilo) e se la maestra provava a prendermi la strattonavo e la prendevo a calci. Una peste.
Quel 25 dicembre mattina (ancora non era sorto il sole) mi alzai dal letto, svegliai mia sorella, e cominciai a cercare un pacco con il mio nome sotto l'albero. Sapevo leggere, quindi dovevo fare il lavoro anche per mia sorella. E lei scartò tre regali. Già giocava, e io cominciavo a cercare sopra i mobili, sotto le sedie, riguardai per decine di volte sotto gli altri pacchi, dietro l'albero.
Quell'anno Babbo Natale non mi portò neanche un regalo, ero stato troppo cattivo.
Sarà un professionista, ma è pure stronzo!
 
posted by Stefano at 02:40 | Permalink | 8 comments
14 dicembre, 2005
La luccicanza...
All work and no play makes Jack a dull boy. All work and no play makes Jack a dull boy. All work and no play makes Jack a dull boy. All work and no play makes Jack a dull boy. All work and no play makes Jack a dull boy. All work and no play makes Jack a dull boy. All work and no play makes Jack a dull boy. All work and no play makes Jack a dull boy. All work and no play makes Jack a dull boy. All work and no play makes Jack a dull boy. All work and no play makes Jack a dull boy. All work and no play makes Jack a dull boy. All work and no play makes Jack a dull boy. All work and no play makes Jack a dull boy. All work and no play makes Jack a dull boy. All work and no play makes Jack a dull boy. All work and no play makes Jack a dull boy. All work and no play makes Jack a dull boy. All work and no play makes Jack a dull boy. All work and no play makes Jack a dull boy. All work and no play makes Jack a dull boy. All work and no play makes Jack a dull boy. All work and no play makes Jack a dull boy. All work and no play makes Jack a dull boy. All work and no play makes Jack a dull boy. All work and no play makes Jack a dull boy. All work and no play makes Jack a dull boy. All work and no play makes Jack a dull boy. All work and no play makes Jack a dull boy. All work and no play makes Jack a dull boy. All work and no play makes Jack a dull boy. All work and no play makes Jack a dull boy. All work and no play makes Jack a dull boy. All work and no play makes Jack a dull boy. All work and no play makes Jack a dull boy. All work and no play makes Jack a dull boy. All work and no play makes Jack a dull boy. All work and no play makes Jack a dull boy. All work and no play makes Jack a dull boy. All work and no play makes Jack a dull boy. All work and no play makes Jack a dull boy. All work and no play makes Jack a dull boy. All work and no play makes Jack a dull boy. All work and no play makes Jack a dull boy. All work and no play makes Jack a dull boy. All work and no play makes Jack a dull boy. All work and no play makes Jack a dull boy. All work and no play makes Jack a dull boy. All work and no play makes Jack a dull boy. All work and no play makes Jack a dull boy. All work and no play makes Jack a dull boy. All work and no play makes Jack a dull boy. All work and no play makes Jack a dull boy. All work and no play makes Jack a dull boy. All work and no play makes Jack a dull boy. All work and no play makes Jack a dull boy. All work and no play makes Jack a dull boy. All work and no play makes Jack a dull boy. All work and no play makes Jack a dull boy. All work and no play makes Jack a dull boy. All work and no play makes Jack a dull boy. All work and no play makes Jack a dull boy. All work and no play makes Jack a dull boy. All work and no play makes Jack a dull boy. All work and no play makes Jack a dull boy. All work and no play makes Jack a dull boy. All work and no play makes Jack a dull boy.

Basta?
 
posted by Stefano at 17:27 | Permalink | 1 comments
13 dicembre, 2005
Hello Goodbye
Per chi conosce questo geniale pezzo dei Beatles, posso dire di saltare tranquillamente questo blog.
Perché "hello goodbye" è la mia situazione attuale.
Una ragazza, una donna, mi ha incastrato con i suoi modi di fare completamente insoliti e fuori dal mondo, ma che riescono inesorabilmente ad attirare la mia attenzione.
Lei ha un uomo, di 8 anni più grande di me, ricco sfondato e con le mani nel mondo nel cinema. Insomma sul "piano curriculare" non c'è paragone.
Hanno litigato, non si sentono da 5 giorni, e il mio cellulare ha ripreso a squillare.
Siamo usciti, abbiamo parlato, abbiamo passato una serata e un pomeriggio molto belli. Siamo stati bene insieme. C'era sintonia.
Ma il suo cuore batte per un altro (anche il mio, non dimentichiamoci She's Electric!), anche se credo che sono io quello che sta cercando. Lei dice "goodbye", e mi dice "why". Io le rispondo "hello" e "I don't know".
Non so perché, ma mentre lei dice "low" io dico "high". E mentre lei mi dice che vorrebbe salutarmi, e appena il suo principe azzurro tornerà sarà costretta a dirmi "goodbye" (lui è gelosissimo e la marca stretta)...
...io sento che sarà un "hello".

I don't know why you say goodbye, I say hello. And I don't know why.
 
posted by Stefano at 01:03 | Permalink | 0 comments
09 dicembre, 2005
...Above us only sky
Anche se l'otto dicembre è da molti piacevolmente ricordato come giorno di festa, dovuto alla ricorrenza Cristiana dell'Immacolata Concezione della Beata Vergine, questo stesso giorno è finito sui libri di storia per un omicidio, una scomparsa, una morte violenta che ha lasciato il segno in molte persone.

"New York City, giovedì 8 dicembre: nonostante il freddo pungente, decine di persone si sono date appuntamento a Central Park - nella sezione ribattezzata 'Strawberry Fields' - per commemorare i 25 anni dell'uccisione di John Lennon avvenuta di fronte al Dakota Building nel 1980 per mano di Mark David Chapman, proprio dall'altra parte della strada del pezzo di parco dove l'Artista amava andare a trascorrere il suo tempo libero."

"...I went to the building. It’s called the Dakota. I stayed there until he came out and asked him to sign my album. At that point my big part won and I wanted to go back to my hotel, but I couldn’t. I waited until he came back. He came in a car. Yoko walked past first and I said hello, I didn’t want to hurt her..."

Quella notte John autografò il suo ultimo album, prima di morire con cinque colpi d'arma da fuoco in corpo.
Mentre tutti i Cristiani praticanti pregavano o si godevano questo giorno di festa.
 
posted by Stefano at 23:24 | Permalink | 0 comments
04 dicembre, 2005
You may be a lover but you ain't no dancer
E anche quest'anno abbiamo messo la tacca del motorshow.
La giornata di venerdì è stata una delle più lunghe che abbia mai fatto, oltre ad essere una delle più divertenti e affaticanti.
La sveglia ha suonato alle 5 e 45 (sei meno un quarto), quando fuori tanti ancora dormono, e il sole ancora non s'è fatto vivo.
Partenza alle 6 e 20, alle quali puntualmente il Gatto si è presentato con la sua rombante M3. Tappa a casa di altri due compagni di viaggio (il principe e il vallesoccia) e poi a tutto gas sull'A1, che ci ha accolto immersa in una sana bruma mattutina, e un traffico di auto e camion niente male.
Il viaggio è stato una volata, l'ingresso senza problemi (ho i miei agganci) anche se era una giornata riservata agli operatori, la manifestazione il solito sperpero di denaro aziendale, senza un particolare fine.
Il vero motivo che ci ha spinto ad andare fin lì sono le donne, non nascondiamocelo. E in realtà non andiamo lì per cercare la qualità (un po' tutti e quattro abbiamo amiche tranquillamente al livello delle osannate standiste del Motorshow), ma la quantità. Eh sì: ci sono belle ragazze ovunque, praticamente ovunque volgi lo sguardo c'è qualcuna a cui chiederesti di concederti anche solo cinque minuti di attenzione, per soddisfare il tuo gusto estetico.
Il vero problema è che potevano anche metterci delle sagome di cartone semovibili: a parte qualche sorriso, qualche occhiata, qualche stupido gioco di parole, fanno parte dell'arredamento del Motorshow, come le macchine, i palchi, le luci e i maxischermi al plasma. Inoltre la loro "posizione dominante", frutto di una stupida venerazione degli avventori, le mette in una condizione di inavvicinabilità che raggiunge a volte il ridicolo.
Entrando nel merito, anche loro sono lì per la quantità e non la qualità: sono sicuro che la maggior parte delle "hostess" del Motorshow prova piacere a sentirsi tacchinata tutto il giorno per tutti i giorni della manifestazione e, ovviamente, a dire di no a tutti, senza sentirsi in colpa perché lei non è lì per giocare al gatto col topo. E le pagano pure.
Quindi che ci andiamo a fare? Rosicare e basta: puoi anche parlarci, puoi anche scherzarci, e anche tornarci il giorno dopo. Ma "concludere" qualcosa, anche solo un innocente aperitivo, è opera ardua, per svariati motivi: il primo è che, essendo molto carine e a volte anche semplici nei modi, hanno già il ragazzo che -ovviamente- le marca strettissime in quel periodo. Poi c'è il problema tacchi e fatica: la maggior parte di loro deve passare la giornata in piedi, in tacchi severissimi, mangiando poco e annoiandosi molto. La soluzione è il classico plaid+ciabatte (dichiarazione raccolta due anni fa quando mi sono fatto tutta la settimana allo stand e ho fatto amicizia con tutte le standiste), ben lontano da una serata che potremmo offrire da illustri sconosciuti.
Infine ci sono le responsabili dello stand: la maggior parte impone -per contratto- che le standiste parlino dei mezzi esposti, e non si deve "dare spago" ai tacchini di turno.
Insomma, dopo circa sette ore di interminabili scarpinate ci siamo accorti di aver visto tutto, di aver concluso ben poco con le standiste (impresa a dir poco ardua girando in quattro, cazzoni e pischelloni, e senza ritegno alcuno), e di essere molto stanchi.
Ma questo è stato solo l'inizio: ci aspettava la notte.
Tornati verso in nostri rispettivi alloggi (Delano) abbiamo approfittato non sessualmente di mio cugino che, bolognese fancazzista doc, ci ha subito proposto un paio di alternative per passare la serata (che dopotutto era un venerdì).
Quindi ci siamo occupati della cena (alla Ghislera in Via Zanardi, subito fuori l'anello della tangenziale): tartufo ovunque, anche negli antipasti, vino rosso "very strong", e tacchinamento anche alla cameriera che -probabilmente- odiandoci non ci scorderà tanto facilmente. I discorsi ovviamente sono andati a parare il nostro senso di frustrazione accumulato durante la giornata al Motorshow: è altamente probabile che i nostri vicini di tavolo si siano chiesti se poi saremmo andati "da uno bravo" per farci curare. Quando ne basterebbe "una brava" e un po' di roipnol.
Ci siamo alzati traballanti dalle nostre sedie, abbiamo pagato un misero conto (davvero poco per quanto e come abbiamo mangiato), e ci siamo riavvicinati al centro, in piena zona universitara, nel cantone di Viale Zamboni.
Da qui in poi i ricordi cominciano a vacillare, sia perché il tasso alcolico è stata un'escalation continua, sia perché la fatica -benché anestetizzata dall'alcol- mi ha fatto vagare in uno stato di ebete stordimento, camminando dietro l'esperta guida di mio cugino, e facendo tappa in un locale abbastanza carino dove suonavano dal vivo le musiche di Pollon, Tigerman e Merry Christmas. Follia pura, rum e cola alla goccia, che non so come ho fatto a non "sgattare" insieme alla cena (come dicono qui), balli e gomitate ovunque. Il motivo per cui ci siamo fermati lì sono -ancora una volta- le standiste. Quelle più strong, le più forti, quelle che dopo una giornata in tacchi a spillo passata a domare tacchini si fanno una doccia, si cambiano, e tornano in pista, questa volta tra amici. Che ovviamente sparano a vista.
Usciti da questo locale siamo ritornati alla meta iniziale, il locale dove "Jac" (per gli amici) ci aveva riservato un tavolo.
Qui è importante sottolineare che per interminabili attimi (erano circa le 2) era partita la folle idea di andare a Milano Marittima, alla Capannina, giusto per farci spennare un po' in trasferta. In realtà ci siamo accontentati di questo locale (ho rimosso il nome) che dava tavoli a prezzi infinitesimali rispetto a quanto si spende qui a Roma.
Alla fine siamo entrati alla Puff Daddy, ci hanno dato "il tavolo più figo del locale" (due panchette e un tavolino che si affacciavano sulla gremitissima pista), ci sono piovute in testa un po' di consumazioni e una boccia di Absolut.
Inutile dire che ci siamo prodigati in balli orgiastici insieme ad una comitiva di spagnole erasmus che si sono allegramente mischiate alla nostra folle ebrezza, ignare del fatto che per interminabili attimi hanno quasi rischiato la vita!
Ci siamo divertiti a fare un casino che lì era talmente insolito da farmi credere che da un momento all'altro ci avrebbero lapidato e/o linciato. L'episodio tristemente saliente è quando ho strattonato mio cugino per dirgli una cosa (che neanche ricordo), e lui è rovinato di nuca sullo spigolo del tavolino che ci eravamo presi.
Fortuna che eravamo tutti anestetizzati dall'alcol perché gli ha dato una botta che ad una persona normale avrebbe aperto in due la testa. Davvero non so proprio come abbia fatto quantomeno a non svenire, mentre noi -ovviamente- ci rotolavamo sul pavimento dalle risate. Da sentirsi male.
Ad un certo punto hanno deciso che la serata era finita, ed hanno cominciato a cacciarci dal locale. Siamo passati dal guardaroba, ci siamo ripresi le nostre proprietà, e ci siamo avviati per la colazione.
Eh sì, la mia giornata stava finendo, dopo una tirata di circa 24 ore (forse qualcosa di più), durante le quali ho fatto il viaggio Roma-Bologna, ho visitato il motorshow, sono stato a cena in un ristorante da paura, mi sono ubriacato in un disco-pub, e ho ballato fino allo sfinimento in una discoteca.
Ho guadagnato il letto verso le 6 e qualcosa, con gli occhi ridotti ad una fessura, uno stupidissimo ghigno stampato in faccia, e mio zio che tra l'indignato e il rassegnatamente divertito mi ha fatto "buongiorno", a cui ho biascicato qualcosa che forse assomigliava ad un "altrettanto"...
Qualche mese fa mi lamentavo del fatto che non ho più la forza e la potenza dei miei vent'anni (come se ora ne avessi sessanta). Beh mi sono smentito da solo, la forza c'è, il fegato anche: non ho sgattato nulla, mi sono alzato 5 ore dopo senza neanche il mal di testa.

E la nostalgia di quando, con molto meno, ci divertivamo e ci ubriacavamo uguale.
 
posted by Stefano at 16:10 | Permalink | 0 comments