Weekend indimenticabile.
Inutile aggiungere altro, ogni parola spesa in più sarebbe per certi versi superflua. Certe cose le parole non possono dirle, certe storie non possono raccontarle, non si fanno capire.
Quindi questo blog non sarà un'altra pagina del mio diario virtuale, un po' perché una pagina non sarà mai abbastanza; un po' perché non avrò bisogno di blog, diari o quant'altro per ricordarmene.
Immagini, suoni, odori e sapori resteranno fissati dentro di me, credo per sempre.
Come quei quadri quelle statue dove un sorriso, un gesto, un bacio restano fissati nella loro perfezione per l'eternità.
Quadro dipinto con gesti, parole, e sguardi. Vissuto da dentro.
Poi c'è la realtà. Un mondo a parte, un cosmo infame che ci riporta con i piedi per terra, ricordandoci quanto il terreno sia impervio, quanto muovere i passi sia faticoso e difficile, come se tante piccole mani ci afferrassero per le caviglie, con il solo intento di farci cadere.
Come quando si scende dall'aereo al Terminal A di Fiumicino, con l'odore di paesi esotici ancora in valigia, enormi nuovoloni grigio scuro, pioggerella sul volto abbronzato e sconvolto da tanta solida bruttezza.
Ma cento volte più devastante.
Perché cento volte più bello ricordare quello che è accaduto solo una manciata di ore prima.
E scoprire come un'ora di vita vale mesi di esistenza, come una boccata d'aria "viva" valga cento sedute in camera iperbarica. Come un sorriso ti faccia scoprire un mondo tapino, che si trascina dietro futili surrogati di pseudofelicità quotidiana.
Che fanno parte della vita di ogn'uno, perché dopotutto il passato che ci ricordiamo è una "raccolta di attimi", ma in realtà tutti questi attimi sono intervallati dal solito incespicante incedere sui sentieri della vita. Che a volte si incrociano tra di loro.
Non mi resta che Sonnet, forse il pezzo più bello dei Verve.
Why can't you see
That nature has its way of warning me
Eyes open wide
Looking at the heavens with a tear in my eye
passerà e scivolerà nel mare dei ricordi sbiaditi presto.