Oggi mi sento un po' più Verve del solito.
Sarà che ho rispolverato Urban Hymns, un disco che trovo davvero geniale.
A metà tra il rock psichedelico e sonorità più tipicamente brit, in un mix che -alla sua uscita- ha fatto inginocchiare anche gli Oasis con cui i Verve hanno diviso più di una tournee.
Al contrario dell'ultimo disco da solista di Ahcroft che, dopo un'ascolto "pirata", mi è sembrato un po' troppo banale.
Momento sonnambulo ma sgargiante, in cui con le mani tremanti e l'occhio da panda macino pagine su pagine di libri e manuali, infilandomi in testa decine di definizioni che spero verranno rimpiazzate un giorno da ricordi ben più gradevoli (se non altrettanto appaganti). Per farla breve mi trovo a cavallo della sessione d'esami (ho già messo una tacca la settimana scorsa, me ne aspetta una la prossima), la penultima del mio "secondo tentativo universitario" cominciato un paio d'anni fa e che sta ormai giungendo in vista dei titoli di coda.
Ammetto che nelle vene, distogliendo lo sguardo dai libri, scorre un po' di amarezza.
Ricorderò con notevole nostalgia le mattinate passate sulle scalette dell'aula magna, a prendere il sole, sbirciando sopra le caviglie scoperte delle mie colleghe che, accarezzate dall'aria primaverile, ricominciavano a mettere vestiti più tipicamente estivi, dai colori vivi, a ripensarci adesso quasi psichedelici.
E non dimenticherò le lezioni passate insieme a scherzare, i pomeriggi passati tra un the e un panino a ripassare per l'imminente esame, le mega sbronze ad Ariccia tra fiumi di romanella e tonnellate di porchetta.
E non dimenticherò neanche gli interminabili attimi passati a conoscere le mie compagne di studi, intrappolato da un'attrazione di cui resto puntualmente vittima, passate a chiacchierare e discutere, facendo vergognosamente tardi (entrambi) ma con questo constante "solletico" della novità, di entrare nella nuova realtà, di fare nuove amicizie.
Per certi versi è paradossale parlare di primavera quando fuori dalla finestra l'inverno impera incontrastato, ma vorrei tanto trovare la leva che rallenta un po' questa corsa, o un pedale, un sistema insomma che dia un maggiore spessore alle giornate che -come violente raffiche- si susseguono tra una vacanza e l'altra.
Giornate passate a lavorare (ormai poco, mi sto concentrando sull'imminente laurea) e a studiare.
Anche lo studio è per certi versi cambiato: ormai mi mancano una manciata d'esami, quello che c'era da sapere più o meno lo so, e mi trovo a rivedere sempre le stesse cose da punti di vista diversi... ma simili agli altri.
Insomma è successo di nuovo: la mia attenzione si è scostata un attimo dalla quotidianità e dai soliti impegni, e mi ritrovo a fare tediosissime riflessioni esistenziali, combattendo una sorta di nostalgia che in realtà non è nostalgia.
Un sentimento strano, un disagio interiore, un urlo silenzioso, che ti chiede divertimento, di stare bene. Ma non bene fisicamente o mentalmente -grazie a Dio sto benissimo- un bene "spensierato", color pastello, limpido, una sensazione che hai conosciuto un paio di volte nella vita e che vorresti rivivere di continuo.
Non saprei descriverla in termini concreti, è una sensazione simile a un lungo sorso di fresca acqua sorgiva, un plaid che ci scalda fino alle orecchie mentre fuori piove a dirotto, il profumo di "una lei" che mi abbraccia e mi bacia la prima sera che siamo usciti insieme, in un mare di curatissimi capelli.
...La quotidianità, la realtà.
Da un lato solida e sicura realtà, fatta di stipendi, tetti e calde coperte.
Dall'altro crudele e rutilante realtà, cielo grigio, binari consumati e sbarre invisibili.
E in mezzo loro. The Rolling People.
Gente maledetta, geniale, disposta a scacrificare tutto pur di non fermarsi mai. Che vive poco, ma quel poco lo vive senza limiti, senza misure, senza risparmiare nulla a quel corpo che li porta a spasso. Mi viene in mente il mito di Jim Morrison, che arrivò a rendersi brutto pur di non essere più amato dalla gente che ormai lo adorava ai limiti della follia collettiva. Mentre lui voleva solo cantare e uccidere la quotidianità.
Chiudendo il libro e mettendo a fuoco quello che c'è fuori, scopro sempre di più come la vita sia uno zoo. Come quei gironi infernali dove decine di animali, stanchi di vivere ma obbligati all'esistenza da solerti veterinari, guardano con occhi disperati quei mammiferi bipedi che li hanno catturati e sbattuti tra quattro pareti a sbarre, senza neanche lo spazio per sgranchirsi un po' le zampe.
Bipedi che senza gabbie non sanno vivere, gabbie questa volta fatte di cultura, denaro, occupazione, famiglia e futili surrogati di felicità.
Da un lato vorrei trovare un lavoro, una casa, una donnetta che mi cucina le fettuccine e mi stira le camicie; dall'altro vorrei mandare a fanculo tutto, andare a vivere sulla spiaggia più bella del mondo, surfare dalla mattina alla sera, e dormire ogni notte con una donna diversa.
Per molti la laurea significa finalmente diventare grandi e decidere cosa si farà nella vita. Anche io deciderò cosa fare, ma per ora so solo che rinuncerei a morire vecchio pur di poter ricordare e raccontare ogni giorno della mia breve esistenza da qui in avanti.
But here we are the rolling people
Can't stay for long
We gotta go
So come alive with the rolling poeple
Don't ask why
We don't know now
certezza o libertà? l'antico dubbio che affligge uomini e donne... io direi: libertà nella certezza, cioè una conciliazione.
sebbene alla fine, anche se hai la donnina con la casa e il lavoro, non hai certezza vera, tutto potrebbe sparire da un momento all'altro: e allora te ne vai sull'isola!
;)