A Novembre, quando ho aperto questo blog, mi ero imposto di non affrontare tematiche "pesanti", riguardanti l'agonizzante attualità e i costumi della società contemporanea.
Scelta dopotutto voluta perché il mio "imprinting professionale" è del giornalista, informatico sì, ma attento a cercare la bilancia di fronte ad ogni evento che incontro. E sicuramente scriverei il più noioso dei blog della rete, troppo impegnato ad analizzare un fatto o un evento, piuttosto che sparare cazzate ed attirare l'attenzione, come fanno i giornalisti "affermati" di adesso.
Lo strappo alla regola riguarda le elezioni. Tema spinosissimo, nella costituzione viene chiamato "diritto dovere" se non ricordo male, ma molto importante.
Aggiungo inoltre che la genesi di questo post è diversa dal solito: l'ho scritto poco alla volta, cominciando martedì scorso e aggiungendo poco alla volta quello che mi vedevo passare davanti.
In questo modo spero da un lato di anestetizzare momentanee "prese di posizione" (dopotutto se quelli sono lì in tv significa che sono bravi a farci il lavaggio del cervello), dall'altro evitare sensi di rivalsa o scoramento su quello che ho visto in giro.
Ne voglio parlare non per fare un qualsiasi tipo di raccomandazione, o gettare come si fa spesso fango sulla "classe dirigente", ma semplicemente scrollarmi un po' da quest'imbambolamento di programmi e slogan per vedere quanto tutta l'informazione "sta male".
La prima cosa a cui ho pensato è questa mania di legare (CSI docet) cartellini rossi o neri all'alluce di tutte le persone che ci circondano. Giornali, redazioni, giudici, magistrati, logopedisti e giornalai "di sinistra" o "di destra". Su questo sono d'accordo con chi ha detto che l'Italia vive un momento di divisione. Ma non sono d'accordo su chi crede che sia una pratica da riprodurre quotidianamente, tantopiù che questa distizione è morta un bel po' di tempo fa.
La seconda è quanto questo "bombardamento elettorale" costringa le persone a smettere di parlare di cose che conoscono (logopedista di unghie incarnite, giornalaio di riviste e fumetti), per occuparsi di politica. E devo dire che un bel po' di persone si sono improvvisate politologhe (anche io non ho scherzato), cercando di pescare qua e là informazioni utili a quello che vogliono dire.
E si entra nella terza riflessione: quanto sia diventato difficile sapere la verità sulla politica e su quello che succede "ai piani alti". Cercando di fare un rapido riassunto, si legge di tutto, e l'opposto di tutto. La spaccatura di cui sopra divide due fazioni che sfruttano ogni mezzo informativo sia per dire "la vera verità", sia per farci credere che è così. Creando miti (falsi), facendo promesse, sia diffamandosi a vicenda.
Ma mai portando pezzi di carta autorevolmente ineccepibili. Ogni volta (e non so se capita a molti) che leggo numeri, "fatti", inchieste, suona un campanellino d'allarme che non mi fa prendere per oro colato quello che leggo.
Allora abbandono le inchieste e le ricerche ISTAT/Censis/Eurisko (sono riusciti a farmi dubitare di quelle e anche dell'Eurostat) e comincio a sfogliare giornali, cercando "opinioni autorevoli". E anche qui c'è un putiferio. Una delle cose che mi ha fatto veramente cascare le braccia è questa mania -tutta nuova?- di inquisire il giornalista di turno. Sarà comunista, o fascista?
Nel primo caso la storiella ha un andamento, nel secondo l'opposto. E la pecora diventa lupo. E viceversa.
Allora la vera riflessione è: se i numeri sono indecifrabili, se i programmi sono una presa per il culo (lunghe centinaia di pagine), se prima di leggere una notizia devi sapere da che parte sta il giornalista, uno che deve fare per "sapere la verità"? Ricordo un aneddoto riportato a lezione all'università durante la guerra in Iraq: una nota giornalista nei suoi servizi parlava dell'esercito americano come "forze di occupazione" contro "la resistenza irachena", mentre un altro giornalista (altrettanto noto) per le stesse persone parlava di "forze di pace" contro "i terroristi". A parte l'ovvia contrapposizione dello stesso identico concetto, una persona qualunque che già fa fatica a seguire un telegiornale potrà essere facilmente influenzata, tantopiù che ogni singola notizia dello stesso/a giornalista -messa sotto la lente di ingrandimento- presenta lo stesso "andazzo" e rivela una linea politica facilmente individuabile.
La soluzione in questo mare di "forge di coscienza" è per molti "il partito preso" (più delle volte uguale a "quella faccia mi è simpatica"). Simpatia mediatica, ovvero quanto il candidato in questione è telegenico. Per altri invece è aggrapparsi all'ideologia che l'ha cresciuto: pugno chiuso e sessantotto uguale centrosinistra, bastoni e olio di ricino centrodestra. Prendendosi per il culo perché dopotutto sono i primi a sapere che Bertinotti di comunista ha ben poco, e Storace o Rauti di fascista ancora meno.
La soluzione di altri è il "menopeggismo" che, per tantissimi, ha significato mettere una croce sul centro-destra qualche anno fa. Ricordo chiaramente come giornali, ma anche vicini di casa, dissero che le elezioni non l'aveva vinte Berlusconi, ma le aveva perse un'opposizione che aveva presentato poco o nulla di convincente. E le stesse persone hanno passato gli anni successivi a lamentarsi della scelta fatta, seguendo un'opinione pubblica che anziché chiedere una politica più seria e costruttiva, ha alimentato le scaramucce tra gli opposti schieramenti. Alimentando questa divisione di cui sopra, che oggi è arrivata al punto di raccontare due verità contrapposte.
Poi, da ultimi, ci sono gli astensionisti. Quelli che non votano da un bel po', che dicono "è tutta merda, preferisco starmene a casa". Poi però dovrebbero starsene zitti, e non lamentarsi se il paese va a rotoli: quel loro modo di fare premia una politica dell'ignoranza, che si occupa di manipolare i votanti per farsi rivotare, piuttosto che per migliorare il paese. Una politica autoreferenziale, che esiste soltanto per continuare ad assicurarsi la propria esistenza.
Ah un'ultima postilla: il paese che va a rotoli. A sentire alcuni sembra che viviamo nella Germania post-bellica, a sentire altri è imminente un crollo politico-economico in stile Argentina.
E come sempre le greggi italiane, quelle che vivono nella cosiddetta "agenda setting", cominciano a lamentarsi dando tutta la colpa al capro di turno. Che ad ogni legislatura cambia.
Vorrei sapere da queste persone quando effettivamente sono state contente dell'economia italiana, della politica, delle istituzioni e dello stato sociale. Senza venirmi a dire che "si stava meglio quando si stava peggio".
Televotate, televotate, televotate: c'è l'imbarazzo tra Music Farm, Grande Fratello, la Fattoria, l'Isola dei Famosi, la Talpa. Almeno lì non ci sono gli interessi dei "plutocrati dell'informazione" che ci prendono per il culo (a parte qualche spiccio delle pubblicità). Loro una volta scelto lo schieramento entrano nella "clientela politica", e sì... ricevono qualcosa in cambio.
...No, quella cosa non è un'Italia migliore.
Pareggio. Praticamente.
E ora sai il caos?
Ah, io vado sotto da Don Abbondio (leggi Prodi, ndr) ad appiccare un incendio come i francesi se non mi dà il lavoro promesso "ai giovani"...! ;)
E DEVE ESSERE PAGATO BENE!